Le elezioni provinciali di ottobre si avvicinano e la coalizione di maggioranza uscente appare ancora in preda a enorme incertezza.
La capacità di reagire alla pesante sconfitta del 4 marzo è condizionata da almeno due fattori.
Il primo è costituito dallo sfarinamento politico e di clima interno iniziato molto prima del 4 marzo. Una coalizione non si sostiene solamente in base agli obblighi di lealtà amministrativa. Ha bisogno di una sua vita di “comunità”, che alimenti e rinnovi ogni giorno una visione comune e faccia crescere un “comune sentire” sia nel gruppo dirigente sia nei rapporti con i cittadini.
Da tempo – e per responsabilità di tutti – questa dimensione si è indebolita con evidenza incontestabile.
Ciò, tra l’altro, ha compromesso anche la capacità di valorizzare le azioni positive e i buoni risultati di governo che pure ci sono stati, ma che molti cittadini hanno faticato a cogliere come segni di un disegno complessivo chiaro e condiviso.
Il secondo fattore deriva dalla insufficiente e sbrigativa analisi del voto nazionale e locale del 4 marzo.
Il mantra “alle provinciali sarà diverso, come in altri casi passati”, sul quale molti in coalizione hanno cercato di fondare una strategia rassicurante per ottobre, ha fatto velo alla lettura di ciò che si stava muovendo nelle pieghe della pubblica opinione; anche in quella trentina.
Non si è colta la circostanza che il voto ha dato voce ad un blocco sociale e culturale in forte crescita e che la forza dell’area populista non nasce semplicemente da un moto di protesta (certo, c’era anche questo e anche in parte per motivi giustificati e comprensibili), ma ha alla propria base una crisi profonda della democrazia rappresentativa e del sistema dei valori solidaristici.
E sopratutto non si è colto il fatto che di tutto questo non è immune il Trentino e che il “carisma” della Speciale Autonomia ha perso molta della sua credibilità di possibile modello alternativo a questa deriva culturale e politica.
Il dibattito interno alla coalizione trentina dopo il 4 marzo ha così eluso i nodi che invece avrebbero dovuto essere la base di partenza di ogni riflessione.
Qualcuno per la verità ci ha provato. I ragionamenti proposti dall’UPT al tavolo della coalizione e in alcuni interventi pubblici andavano in questa giusta direzione.
Purtroppo, almeno fino ad ora, senza esito significativo sia dentro la coalizione sia tra i possibili nuovi interlocutori esterni ad essa.
Nonostante il pessimismo crescente, non possiamo però rinunciare a svolgere fino in fondo, ormai in extremis, il tentativo di ritrovare la giusta rotta, senza deragliamenti.
Mi riferisco alle reiterate notizie di stampa che vorrebbero l’UPT protagonista di una rottura della coalizione in favore di un fantomatico nuovo “polo” autonomo.
Strategia – in tali termini – bizzarra e suicida, non fosse altro che per un motivo di banale contabilità elettorale: con un sistema a turno unico, con una destra a trazione leghista che sfiora il 40 per cento e con una prevedibile frammentazione del quadro rimanente, pensare a “poli autonomi” (magari, come ho letto, per negoziare “dopo il voto” qualche spazio o qualche ruolo) sarebbe pura irresponsabile follia.
Strategia, sopratutto, incoerente con la nostra storia di soggetto politico e con la nostra identità.
Sono sicuro, peraltro, che le smentite di questi giorni da parte della nostra delegazione – che ha svolto in queste settimane un buon lavoro – saranno confermate dal Parlamentino del partito convocato oggi.
Come dicevo, il tempo è ormai poco e il quadro molto compromesso.
Ma non possiamo rinunciare a fare tutto il possibile per evitare il peggio.
Apertura della Costituente come rigenerazione della nostra presenza politica (purtroppo con un colpevole ritardo di almeno due anni) e contributo alla rigenerazione della nostra coalizione (senza nessuna pretesa di “annessioni” ma con vera disponibilità a costruire ex novo una Alleanza con chi ci sta) sono due facce della stessa medaglia che devono essere perseguite assieme.
La posta in gioco non è cosa da poco. Riguarda la natura, l’anima, il “senso” che connoteranno la prossima stagione della nostra Speciale Autonomia e la sua capacità di essere “anomala” rispetto alle “democrature” e ai sovranismi nazionalisti che stanno emergendo in molta parte di Europa.