Sono stato venerdì sera a Sagron Mis, come sarò presto a Luserna, prima di tutto per ringraziare le poche piccole comunità nelle quali, il 4 marzo, ho avuto più voti dei miei concorrenti e come sarò in alte comunità locali. Senza particolari formalità.
Non ho certo annunci o programmi da lanciare.
Quando si perde, bisogna prima di tutto avere l’umiltà di capire e di riflettere.
Del resto, proprio la montagna ci aiuta a recuperare il senso del tempo.
C’è un tempo per tutto.
C’è un tempo per le vittorie e per quel potere che ho esercitato per tanti anni, per mandato del popolo.
E c’è un tempo per la sconfitta e per l’opposizione ai nuovi potenti.
Vedremo quanto tempo essi dureranno e come saranno capaci di realizzare quelle molte “mirabilia” che hanno promesso e che hanno provocato la loro travolgente vittoria.
E vedremo sopratutto come riconsegneranno la comunità che hanno “conquistato”, per usare una brutta espressione a loro tanto cara.
Non parlo tanto delle cose concrete che faranno o non faranno.
Parlo sopratutto dell’anima della comunità e dei valori costitutivi del suo stare assieme.
Non lo nego: sono spaventato da questo orizzonte di banalità e di cinismo. Lo sono per il futuro dei miei figli e dei miei nipoti.
E mi chiedo quale sia stata la nostra colpa per aver meritato una punizione così terribile: vedere il Trentino potenzialmente nelle mani di questi qui.
Ma il popolo ha parlato. E ha parlato chiaro.
Tocca a noi reagire, se ne siamo capaci.
Senza arroganze ma anche senza patetici “baci della pantofola”, tipo quelli che ci è toccato di vedere in questi giorni anche da parte di qualche rappresentante di quei mondi sociali che pensavamo fossero ancora presidio non certo di inattuali collateralismi – da tempo non si avvertivano come tali –  ma di più solide visioni valoriali e che speravamo fossero dotati di un “filo della schiena” un poco più resistente.
Anche questo è un segno dei tempi che dobbiamo interpretare.