Siamo chiamati ad esprimere il voto finale sull’ultima manovra finanziaria di questa anomala e difficile Legislatura.
Per questo motivo, la nostra dichiarazione di voto sarà tutta politica e non sui singoli contenuti del provvedimento.
Esso contiene peraltro molte luci e alcune ombre.
Tra queste ultime, vorrei citare come unico esempio quasi emblematico, la superficiale disattenzione con la quale è stato respinto un nostro emendamento riguardante la tutela infortunistica dei Vigili del Fuoco Volontari, che oggi prestano un servizio fondamentale e gratuito nel nostro Paese, senza nessuna forma di copertura in caso di incidenti.
Cito solo questo punto – che può sembrare marginale rispetto ai temi più gettonati nel circo mediatico, ma che marginale non è affatto – per dire che talvolta è anche nelle piccole decisioni che si disvela il rischio di tutelare solo chi ha poteri di lobby o strumenti di pressione organizzati.
Ma, dicevo, la nostra dichiarazione di voto convintamente positivo a questa ultima manovra vuole essere tutta politica.
Vogliamo in primo luogo confermare il nostro giudizio politico su questa Legislatura, durante la quale abbiamo sostenuto – con coerenza ma anche con autonomia e libertà – i Governi Letta, Renzi e Gentiloni.
Il bilancio finale contiene anche fallimenti, passi falsi e forzature che non abbiamo condiviso, sia nel merito che nel metodo.
Ma non si può dare un giudizio senza la memoria del punto di partenza e delle contraddizioni politiche oggettive nelle quali si è operato.
Parlo della memoria attorno alle fragilità strutturali della politica e delle istituzioni pubbliche del Paese, che vengono da lontano e parlo della memoria di dove l’Italia era finita in quel drammatico 2011.
Senza il lavoro del Governo Monti e delle forze politiche che lo hanno sostenuto fino in fondo – qualcuno si è invece sfilato lungo la salita – i Governi di questa Legislatura non avrebbero potuto accompagnare il Paese verso il sentiero della ripresa e recuperare, ancora in modo non definitivo, peraltro – credibilità e affidabilità in sede europea.
Sappiamo bene che questo percorso e’ stato doloroso sopratutto per larga parte del ceto medio e delle fasce popolari.
E ciò che si sta facendo, anche con questa manovra, va nel senso di un parziale risarcimento di questi sacrifici, senza dei quali il baratro non sarebbe stato evitato, con danni ben peggiori proprio per la maggioranza meno tutelata degli italiani.
E sappiamo anche che dire questo pare oggi sconveniente e politicamente non opportuno.
Tanto che qualcuno tende a dire che la ripresa inizia col suo ingresso a Palazzo Chigi ed altri disconoscono oggi il ruolo coraggioso e nobile da essi avuto in quel frangente che ha salvato l’Italia.
In fin dei conti, la crisi di identità del centro sinistra deriva anche, non solo, da questi due errori di narrazione.
Noi invece vogliamo mantenere e ribadire questa memoria, poiché abbiamo ben presente ciò che ebbe a dire Alcide Degasperi, l’anti populista, come lo ha definito un libro presentato ieri: “La democrazia per essere forte deve anche essere contro la demagogia, anche a costo di sacrificare un nostro momentaneo interesse.”
Questo monito dovrà accompagnarci anche nel prossimo futuro.
Il Festival delle promesse facili verso tutti e su tutto che già si intravvede in questo inizio di campagna elettorale può solo portare il Paese indietro, fuori dall’Europa e fuori da una rotta di vero futuro per la nostra comunità e sopratutto per i giovani e i ceti popolari.
Apprezziamo in questo senso il costante richiamo alla responsabilità del Capo dello Stato e l’atteggiamento di serietà istituzionale e di realismo del Presidente Gentiloni.
Solo questa cifra morale può aiutare la politica a recuperare la stima dei cittadini e a ricostruire le basi per un consenso che non sia effimera e volubile tifoseria ma condivisione di un percorso e di una meta comune.
Occorre un credibile appello per la partecipazione di tutti alla ricostruzione morale, civile e materiale di un Paese che per troppo tempo – senza una guida politica sobria, seria e responsabile – ha visto crescere al proprio interno ingiustizie e disuguaglianze, furbizie, dissipazione delle risorse ed egoismi giustificati come diritti.
Si parla spesso della necessità per il Paese di ritrovare un suo “centro politico”.
Ma il centro politico non è una congettura tattica o topografica di breve momento.
E’ capacità di interpretare un punto di equilibrio evolutivo della democrazia; attitudine inclusiva; impegno per ricucire i legami sociali che si stanno lacerando; ricostruzione di uno spirito di comunità e di solidarietà senza del quale la democrazia rappresentativa perde la sua vocazione alla giustizia e dunque la sua legittimazione morale.
E’ rifiuto di una democrazia delle solitudini, dei rancori e degli individualismi, che sono assieme il prodotto ed il nutrimento del populismo.
E’ riformismo autentico, poiché condiviso anche se difficile e talvolta sconveniente.
Centro non è moderatismo: è inquietudine e tensione al cambiamento che si fa moderazione, senso di misura, sobrietà, mediazione: non sono brutte parole, ma la cifra distintiva di una cultura istituzionale e di una visione della politica.
Di questo il Paese ha urgente bisogno.
Il panorama non è confortante e la strada tutta in salita.
Non sarà una lista civetta a poter alzare credibilmente questa bandiera e in ogni caso, se così fosse, ciò non ci interesserebbe.
Ci interessa invece provare a dare il nostro contributo ad un progetto politico, civico e popolare, di lungo periodo, capace di riproporre in termini nuovi questa cultura e di ridare senso vero e non fittizio alla parola “coalizione”.
Una parola bandita ed irrisa fino a pochi mesi fa – nel l’illusione che la semplificazione della politica potesse rendere più moderno il sistema – ed oggi ritornata in auge.
Ma “coalizione” e’ parola esigente e pesante. Significa, ad un tempo, diversità rispettata e patto comune.
E significa sopratutto condividere una “proposta al Paese”.
Il calendario e’ incombente; il sistema elettorale bizzarro; il terreno assai poco agevole. Ma questo è il tempo che ci è dato di vivere e noi, nella nostra libertà – alla quale non intendiamo comunque rinunciare – ci impegneremo a viverlo con generosità e fiducia.
Signora Presidente,
mi permetta infine di ringraziare i colleghi che ho avuto modo di rappresentare, come Capogruppo, in questi cinque anni; di esprimere un sentimento sincero di gratitudine alla comunità regionale che nel 2013 mi ha eletto; di dire – sopratutto – che per me è stato un grande onore far parte di questa Assemblea, la quale – nonostante le nostre debolezze e le fragilità, che poi sono anche quelle del Paese – custodisce il passato e il futuro dell’Italia democratica.