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Mi hanno molto colpito alcuni accenti letti in questi giorni a proposito di Università. Pare di capire che il ragionamento sia grosso modo il seguente: siccome il nostro Ateneo non ospita solo studenti trentini – anzi, crescono quelli di fuori provincia – allora bisogna che lo Stato dia un contributo. O addirittura – ho visto – che si riprenda per intero funzioni e oneri finanziari che con l’Accordo di Milano del 2009 aveva assegnato alla Provincia. Per carità, chieder soldi a Roma si può sempre fare, anche se in questo tempo, temo, non è l’approccio più indovinato.

E certo si può sempre provare a verificare se ci sono meccanismi che comportino risorse aggiuntive, come giustamente si è fatto anche a proposito dei “fondi premiali”, inizialmente contestati dalla Ragioneria dello Stato. Tuttavia – sia detto con tutto il rispetto – sono in totale disaccordo con la filosofia che sembra trasparire e francamente trovo singolare questo modo di vedere la cosa.Per almeno tre ragioni.La prima. Credo nessuno sogni una Università “domestica”, ad uso e consumo dei trentini. Il fatto che molti studenti trentini decidano di iscriversi ad altre Università in Italia o nel mondo è fisiologico e tutt’altro che negativo. E la presenza a Trento di studenti di altre Regioni – e, come da sempre auspicato, di altre Nazioni – non è un “peso” da imputare allo Stato, ma una ricchezza che va valorizzata. Sta a noi, semmai, saper attrarre i migliori e proporre loro occasioni non solo di studio, ma anche di ricerca e di partecipazione allo sforzo di innovazione del nostro territorio.La seconda. È un po’ curiosa l’idea che l’Autonomia si debba sentire responsabile di ciò che ha a che vedere direttamente e solo con i “propri cittadini”. Le strade statali che lo Stato ci ha affidato in totale responsabilità forse le gestiamo solo per i trentini? O il patrimonio storico e naturalistico – che pure ricade sotto la nostra potestà – lo amministriamo solo per noi?Nella fase storica della globalizzazione e dell’interdipendenza, questo approccio sarebbe suicida per l’Autonomia.È più che giusto, invece, che la Provincia – nel quadro delle intese generali con lo Stato – finanzi l’Ateneo di Trento: non perché lo frequentano in prevalenza i giovani trentini, ma perché esso costituisce una risorsa fondamentale per la crescita culturale, sociale ed economica del territorio.La terza. La delega statale prevista dall’Accordo di Milano non era solo una questione di soldi. Ciò che ci interessava era la possibilità di estendere e qualificare le responsabilità dell’Autonomia trentina in un campo che ritenevamo e continuo a ritenere altamente strategico per il futuro. Molto più strategico delle Poste, senza voler sminuire questa importante funzione di servizio pubblico che giustamente è pure all’attenzione delle nostre autorità.L’obiettivo della nostra richiesta non era un improprio dirigismo provinciale, ma poter sperimentare un modello di Università più innovativo, con una governance “anomala” e una progressiva integrazione con le Fondazioni di Ricerca. Eravamo nell’ottica di una Regione Europea della Conoscenza e consapevoli della necessità di costituire un sistema territoriale integrato e fortemente internazionalizzato, sull’esempio delle migliori esperienze europee.Del resto, solo un “patto” tra tutti gli attori del sistema può sostenere nel tempo la qualità e la selettività nell’uso delle risorse e può ridurre il rischio di adattamenti alla comoda mediocrità. Rischio fisiologico, sopratutto in tempi di crisi finanziaria, sia per la politica – che deve rendere conto ai cittadini di investimenti pubblici rilevanti i cui effetti si vedranno tra decenni, sia per il mondo accademico, nel quale non sempre è facile aprire piste nuove e abbandonare magari ciò che si fa da tempo.Solo facendo fronte comune è possibile vincere questi rischi. La storia dell’Ateneo di Trento e delle sue eccellenze conferma tale assunto.Per questo, avevamo chiesto ampi margini di autonomia nella definizione dello Statuto dell’Ateneo. La Norma di Attuazione è stata poi frutto di un compromesso, così come il successivo Statuto: le spinte alla conservazione dello status quo si sono fatte sentire.Ma alcune importanti innovazioni in quel passaggio ci sono state – merito sopratutto del Presidente Cipolletta e del Rettore Bassi, i quali hanno mediato ma non ceduto le armi – e mi auguro che possano essere riprese e rafforzate in futuro.In direzione esattamente contraria, peraltro, rispetto a quella che pare essere auspicata in alcune posizioni lette in questi giorni.Lorenzo Dellai©RIPRODUZIONE RISERVATA