Il mio intervento alla cerimonia di intitolazione della Sala Riunioni della Cooperativa Ascoop a Carlo Eligio Valentini.
Borgo Lares, 28 ottobre 2017

E’ un onore per me poter partecipare oggi a questa cerimonia, per la quale ringrazio molto la Cooperativa Ascoop, che ha voluto così ricordare uno dei suoi fondatori.

Non succede di rado di ricordarsi di chi ha costruito il percorso sul quale camminiamo: spesso siamo portati a credere che tutto si giochi in un presente senza radici e senza futuro.

Ma così non è: noi proseguiamo nel solco tracciato da chi ha avuto le idee e la tenacia di aprire piste nuove.

Sopratutto e’ un onore per me aver potuto incrociare sulla mia strada il Ligio e aver costruito con lui un rapporto sincero di amicizia e di condivisione.

Vorrei aggiungere solo cinque brevi pennellate al quadro che già Luca Carli ha egregiamente dipinto poco fa.

Primo. Il Ligio e’ stata una persona “per bene”.

Lo ricordiamo con il suo tratto umano particolare. Col suo sguardo sincero. Mai con secondi fini. Sosteneva le sue convinzioni con forza talvolta esuberante, mai con rancore o con faziosità.

Non è un punto banale. Oggi avvertiamo la fragilità di una falsa credenza: quella che si possa avere una “società buona” senza persone perbene.

E’ la conseguenza di una stagione che ha portato alla crescita illimitata della cultura dei diritti individuali, per i quali si pretende tutto dalla società, senza che alla società si dia il contributo di una testimonianza personale ispirata a valori veri, nella vita privata come in quella pubblica e sopratutto senza che questi diritti pretesi abbiano un contrappeso nella coscienza dei propri doveri.

Secondo. Il Ligio era un “cooperatore delle origini”.

Viveva la scommessa della cooperazione come impegno a creare lavoro e servizi, certamente, ma assieme anche come occasione per testimoniare valori sociali e civili: valori di gratuità e di volontariato.

Non è facile tenere assieme queste due facce della cooperazione trentina: quella dell’impresa e quella sociale e civile, in una stagione nella quale tira forte il vento della concentrazione, del pensiero unico, della dittatura dell’economia di scala.

Terzo. Il Ligio era un “valligiano montanaro adulto”.

Mi viene in mente il bel libretto di Sergio Reolon, già Presidente della Provincia di Belluno, scomparso da poco. Descriveva le varie tipologie di montanaro e sosteneva la necessità di andare gli stereotipi della montagna. Solo i montanari adulti, scrive, possono farlo. Il Ligio lo è stato. Viveva in simbiosi con la sua valle ma capiva che occorre trovare narrazioni sempre nuove, aperte, esigenti.

Neppure questo è un ricordo banale. Oggi le nostre valli hanno un grande bisogno di “anima”. Hanno raggiunto mete importanti in termini di servizi e di opportunità di sviluppo, ma questo rischia di non bastare. Occorre che recuperino una idea esigente del futuro, una più chiara e condivisa percezione della propria identità e della propria missione.

Avevamo pensato per questo ad uno strumento nuovo: le Comunità di Valle intese come ambito comunitario e politico. Ma sappiamo che le scelte recenti sono andate in altra direzione. Il problema però resta in tutta la sua evidenza.

Quarto. Il Ligio e’ stato un “sindaco di altri tempi”, testimone vivente del fatto che, sopratutto nei piccoli comuni, il Sindaco non è principalmente il capo di una struttura amministrativa e burocratica. E’ il “pater familias”, il riferimento primo delle persone che abitano il territorio, il custode della trama civile della comunità, nelle piccole e nelle grandi cose.

So che sono in contro tendenza: ma sarebbe giusto riflettere su questo mantra prevalente, in base al quale ciò che conta sono le dimensioni quantitative dei comuni.

Pensiamo bene al fatto che sempre più le persone sono alla ricerca di un contatto autentico con le istituzioni democratiche e che queste ultime si salveranno solo se saranno capaci di “umanizzare” se stesse e il proprio rapporto con i cittadini.

Senza questa umanizzazione, la democrazia corre seri rischi di svuotamento e di perdita di senso. Le realtà urbane hanno altri paradigmi, altre opportunità. Ma le nostre valli?

Quinto. Il Ligio e’ stato un grande democristiano. Anzi, un grande democristiano di sinistra. E ciò non gli derivava solo dalla sua appartenenza alla comunità kessleriana.

Gli derivava dalla sua concezione cristiano-sociale, che lo spingeva naturalmente a immaginare la politica come forma per dare voce a chi non ha voce, agli ultimi, a chi ha meno opportunità.

Il Ligio, prima che un dirigente e un amministratore, e’ stato un “militante” politico.

Oggi il rischio è che si sia o dirigenti o puri tifosi mediatici di una idea politica: si è persa la militanza vera, la testimonianza volontaria e impegnata attorno ad un progetto politico.

La evanescente fragilità dei partiti porta a questo: ma così non si costruisce buona politica e neppure buona comunità.

Prima Luca Carli ha ricordato i tempi del primo Piano Urbanistico Provinciale di Kessler e l’entusiasmo di persone come il Ligio, manifestato durante il lungo percorso di discussione e di confronto popolare che ha accompagnato quel progetto.

Era l’epoca nella quale le Leggi, i provvedimenti amministrativi – in primis il PUP – erano la traduzione di una idea di società e di Autonomia che sapeva guardare avanti.

In questi giorni si celebra il cinquantesimo anniversario del PUP. Ricordando Carlo Eligio Valentini – e con lui tutta una classe straordinaria di militanti e di amministratori – dobbiamo anche assumere di nuovo il gusto di guardare lontano, di scommettere sul futuro, di coltivare ancora quella “utopia tecnicamente possibile”, contro ogni rischio di mediocrità e di rassegnazione.