Copia di IMG_3682Grazie per l’invito.
Vi porto il saluto di Democrazia Solidale e del suo Gruppo Parlamentare e l’augurio per la vostra conferenza programmatica.
Abbiamo bisogno di “pensiero”, perché non viviamo una stagione ordinaria.
Siamo al termine del ciclo che ci ha accompagnato per decenni, ma non abbiamo ancora alcuna idea definita del ciclo nuovo.
Percepiamo la crisi dei paradigmi precedenti: gli Stati Nazionali vedono erosa la loro sovranità dai processi globali; la democrazia rappresentativa fatica a garantire il grande compromesso europeo tra mercato e giustizia sociale; il primato della politica sui processi economici e tecnologici, sempre più invasivi e potenti, appare oggi meno credibile.
Le grandi culture politiche democratiche europee sono spiazzate da questi cambiamenti epocali e ciò investe in modo pesante tutti noi, che a vario titolo ci richiamiamo a queste culture politiche, dentro o fuori il PD.
C’è una possibile scorciatoia per superare questa crisi? Possiamo pensare di eluderne la radice profonda? No. Inutile illudersi.
Oltretutto, in Italia, questa fase storica rende ancor più evidenti debolezze di antica origine.
Quella delle istituzioni pubbliche, innanzitutto.
Risale al sacrificio di Aldo Moro e di Roberto Ruffilli l’inizio del travagliato e finora fallito tentativo di riformare lo Stato e le sue istituzioni democratiche, per recuperare capacità di rappresentanza e autorevolezza di governo.
Quella della società e della sua tenuta civile, in secondo luogo.
Non esiste una società buona e una politica cattiva: questa caricatura populista – alla quale anche noi spesso ci inchiniamo, inseguendola – non aiuta a capire le crepe che si sono aperte nel tessuto sociale e civile del Paese, nella sua costituzione materiale, nella necessaria solidità della cultura di diritti e doveri che spesso cede il passo all’opportunismo, alla attenuazione del senso di legalità e alle pretese individualistiche disgiunte dal bene comune.
E infine, quella demografica, che ci restituisce un Paese sempre più vecchio, stanco, intimorito e poco incline a costruire solidi patti tra le generazioni.
Questione, questa, inquietante e di lunghissimo periodo, dalla quale tutti dovrebbero derivare la convinzione che il riconoscimento della cittadinanza ai bambini stranieri – al pari degli aiuti alla natalità e alle famiglie – va rubricata sotto la voce “investimento contro l’inverno demografico” piuttosto che sotto quella di “politiche per l’accoglienza degli stranieri”.
Cari Amici del PD,
dobbiamo giustamente rivendicare il lavoro dei Governi che abbiamo assieme sostenuto in questa anomala Legislatura.
Ma in uno scenario di questo genere, serve una “Proposta al Paese” che usi parole di verità e parta da uno spirito di umiltà.
Non è vero – come ha detto ieri il senatore Verdini – che Berlusconi ha aperto una fase innovativa nella vita politica italiana e che, dunque, ciò che serve oggi è continuarla con spirito più giovanile e formule nuove.
Quella che dal 94 in poi si è costruita assomiglia piuttosto alla Torre dei Babilonesi, che si illudevano di raggiungere il cielo senza solide basi e senza un disegno compiuto.
Era una falsa innovazione, fondata sull’esaltazione delle pulsioni individualistiche, sulla rottura dei legami comunitari e sulla rimozione della responsabilità e della solidarietà.
E si è espressa attraverso la banalizzazione della politica e del processo democratico.
Non sono i nostri valori; non è la nostra visione della società.
Non è quel “nuovo umanesimo” al quale esorta tutti Papa Francesco e che può diventare la trama connettiva di una rinnovata visione della nostra democrazia.
Questa è la missione – oggi – di un campo politico che voglia rigenerare la cultura di una sinistra non retrograda e di un centro non degradato in insipido moderatismo e che sopratutto voglia convincere i tanti cittadini che si sentono fuori dai vecchi sistemi della rappresentanza.
Nel percorso che abbiano alle spalle, ivi comprese le scelte di questi ultimi giorni, non abbiamo solo un patrimonio di leale condivisione.
Abbiamo anche registrato dissensi e lontananze di metodo e di contenuto.
Ma il dovere di concorrere ad una prospettiva di futuro che possa essere all’altezza delle culture politiche alle quali ci ispiriamo e dei bisogni nuovi del Paese, deve spingere tutto il centro sinistra a ritrovare il sentiero della comune responsabilità.
Quando i torti e le ragioni si mescolano tra loro, non è il tempo della forzatura o della tattica. E’ il tempo del dialogo adulto; della ricerca di una base comune possibile; della disponibilità a fare passi convergenti.
La posta in gioco va molto oltre le leadership pretese o contestate.
Riguarda la prospettiva che le forze anti sistema possano assumere la guida del Paese allontanandolo pericolosamente dall’Europa e dal suo futuro.
E riguarda il rischio che una parte crescente di cittadini individui nel rinato centro destra il vero baluardo contro gli avventurieri.
Il vento tira oggi in queste due direzioni. E assomiglia molto a quello che ci ha portati al 4 dicembre e che ha travolto insieme i nostri torti e le nostre ragioni.
Nessuno può oggi sapere quali saranno nel prossimo futuro le forme organizzate della politica in Italia e in Europa: tutto fa pensare che saranno diverse da quelle di oggi.
Ma il passaggio che abbiamo difronte tra pochi mesi e’ questo e va affrontato qui ed ora.
Da ieri abbiamo una legge elettorale, con le sue luci e le sue ombre. Quello che ci manca ancora e’ una idea chiara e convincente di come interpretarla.
Questione che riguarda tutti, ma in primo luogo il PD.
Serviranno a poco liste satellite frutto della pesca a strascico di pezzi di nomenclatura alla ricerca dell’offerta migliore.
Ciò che serve è il coraggioso rilancio di una prospettiva politica convincente, credibile, che rispetti le diversità e le unisca in una coalizione vera, con un leale patto comune.
Con la nostra autonomia e le nostre idee (europeismo, concezione comunitaria della democrazia, lotta alle disuguaglianze nella nostra società e nel mondo, rilancio delle autonomie civili e territoriali contro ogni tentazione centralista e nazionalista) noi siamo pronti, con le nostre limitate forze, a dare il nostro contributo, nelle forme che saranno possibili e compatibili con il nostro percorso.