Senza una visione di futuro aggiornata e condivisa, capace di reinterpretare i nostri valori comunitari, accingersi a una operazione delicata e complessa come la revisione dello Statuto di Autonomia può risultare rischioso.

Ciò che distingue una Comunità Autonoma da una semplice suddivisione amministrativa del territorio nazionale è infatti il primato di una costituzione materiale che preesiste alle regole statutarie e ne costituisce l’anima. Benché definiti con il nome omologante di «Provincia», noi siamo, nella sostanza e in larga misura, una Comunità Autonoma. Il punto è che i capisaldi della nostra costituzione materiale sono oggi sotto fortissima pressione a causa di rapidi cambiamenti culturali, sociali ed economici. Pensiamo alla centralità del diritto collettivo preminente su quello individuale, che ha costituito l’architrave di una società fondata su gruppi e corpi intermedi.

Oppure alla pratica diffusa della democrazia partecipativa nelle piccole comunità locali e alla gestione dei beni comuni: quell’insieme di istituzioni pubbliche e collettive che il compianto monsignor Iginio Rogger chiamava la nostra «micro autonomia» che faticosamente nella storia ha cercato una sua cornice di Land.

O ancora pensiamo alla nostra natura di terra vocata a comporre i conflitti tra gruppi linguistici diversi: oggi è l’Europa intera che diventa sempre più un insieme di minoranze vecchie e nuove, frutto di processi migratori di proporzioni enormi.

Anche il nostro sentirci terra di cerniera nel cuore dell’Europa – al di là degli sviluppi recenti del Muro del Brennero – deve fare i conti con una Europa che ha perso molta della sua stessa centralità.

Il «territorio», a presidio del quale si è organizzata la lunga lotta per l’Autonomia, viene oggi attraversato e modificato da flussi di idee, informazioni, merci, persone che travolgono confini e poteri pubblici a livello globale.

A ben vedere, la stessa evoluzione delle forme democratiche oggi in atto – pensiamo alla cosiddetta democrazia del leader – nel momento in cui si fonda sul rapporto mediatico tra individuo ovunque esso sia e potere ovunque esso sia – tende a indebolire il ruolo della mediazione istituzionale territoriale.

Non basta più, quindi, evocare i nostri valori: occorre capire come tradurli e reinventarli nei nuovi paradigmi.

Per questo, la revisione dello Statuto richiede innanzitutto una grande e difficile scommessa culturale: una nuova sintesi tra spirito di comunità, democrazia locale e partecipazione, reinterpretazione del senso dei confini, nuovi modelli di organizzazione istituzionale, nuovi strumenti per costruire sviluppo e garantire lavoro, modalità di integrazione, non solo di ospitalità in emergenza, dei nuovi trentini, misure inedite di rapporto con il sistema globale.

È piuttosto evidente che, così posta, la questione del Terzo Statuto ci costringe a confrontarci sul Trentino (ma anche sul Trentino Alto Adige, sul Tirolo Storico, sulle Terre Alte Alpine ) dei prossimi decenni.

Nel mentre in Italia assisteremo, temo, ad uno tsunami che demolirà quel poco che rimane ormai del regionalismo ordinario – il quale peraltro sembra aver scelto da solo la via del declino – noi dovremo affrontare il lungo e faticoso percorso verso una vera e propria Comunità Autonoma del Trentino, immaginando nuove forme di raccordo con gli amici di Bolzano, in prospettiva di scenari, ora magari impensabili, che potranno maturare con la trasformazione dei poteri pubblici in Europa e con la crisi degli Stati Nazione così come oggi sono configurati e strutturati.

Potrebbe essere questa la matrice ambiziosa che connette le varie fasi del percorso giuridico e istituzionale: valorizzazione piena dello Statuto vigente attraverso le Norme di Attuazione in istruttoria (finanza, giustizia, agenzie fiscali in primis); primo pacchetto urgente di riforma statutaria in riferimento all’art. 39 della nuova Costituzione approvata dal Parlamento (i rapporti con lo Stato, e cioè: competenze primarie, ruolo delle Norme di Attuazione anche per la gestione consensuale delle competenze trasversali, intesa a regime per la modifica dello Statuto); secondo pacchetto di riforma statutaria più complessiva e organica (i rapporti interni alle comunità e il disegno autonomistico, frutto anche delle iniziative di partecipazione messe in campo dai due Consigli Provinciali).

È un percorso che richiede però forte presidio politico, dialogo tra maggioranza e opposizione, protagonismo generoso e non corporativo della società civile, supporti autorevoli di varie competenze.

Bruno Kessler, ai suoi tempi, ha avuto l’intuizione di reclutare intelligenze da ogni dove per costruire la Provincia e impostare la modernizzazione del Trentino.

Dobbiamo fare la stessa cosa oggi: proporre la riforma della nostra Autonomia come un «caso» di interesse internazionale; una possibile risposta alla crisi del modello statuale dei secoli scorsi, ad opera di una «periferia» che non intende tornare marginale, pur in una stagione di verticalizzazione e dentro scenari sempre più globalizzati.

Cosa che dovrebbe anche suscitare una certa simpatia, vista la riflessione critica di parte dell’opinione pubblica e della comunità scientifica di fronte alle ricette da pensiero unico «pre crisi» che ancora sembrano prevalere.

Serve però che ci diamo subito una piattaforma culturale e politica capace di orientare e sostenere un simile difficile percorso.

Tra l’altro, questo è l’unico vero terreno sul quale – più che sulle ardite composizioni di sottogoverno o sulle dispute fuori tempo per il comando – il centro sinistra autonomista può reinventare se stesso, recuperando unità e visione di prospettiva.