Il nostro Statuto Speciale di Autonomia definisce le regole e le forme del nostro autogovernarci. Ma non esisterebbe alcuna “veste giuridica” se non esistesse un “corpo” da rivestire. Il “corpo” è la costituzione materiale del Trentino, derivante – pur con la sua peculiarità culturale e linguistica – dai tratti distintivi e tipici della identità alpina e mitteleuropea. Bisogna perciò sempre ricordare che difendere lo Statuto e sforzarsi di negoziare una sua revisione puntando a rafforzare l’Autonomia è compito doveroso ma che a certe condizioni si può rivelare inutile. È inutile se, nel frattempo, vengono meno i pilastri portanti della costituzione materiale che anima la nostra comunità autonoma. Ci troveremmo “sotto il vestito, niente” e saremmo facile oggetto di progressive omologazioni ai modelli prevalenti. Uno dei pilastri portanti della nostra costituzione materiale è rappresentato dal sistema delle “micro autonomie”, quell’insieme di istituzioni comunitarie ma anche pubbliche che danno vita alla dimensione intermedia della società: ciò che sta tra il singolo cittadino e lo Stato. Ora si deve più precisamente dire “tra il singolo cittadino e il potere ovunque esso sia collocato e comunque esso sia denominato”. Per molto tempo, la vocazione all’autogoverno dei trentini si è espressa appunto attraverso le carte di regola, le comunità legate ai beni comuni, il municipalismo, le forme di mutualismo. Solamente nel secondo dopoguerra, con l’Accordo di Parigi, con il primo Statuto e con la Repubblica democratica, questa rete di micro autonomie ha potuto contare sulla cornice istituzionale di un “Land” secondo la tradizione tirolese. Per queste ragioni, ritengo di fondamentale importanza per il futuro della nostra Autonomia discutere attentamente e valutare bene ogni azione che possa anche indirettamente indebolire, banalizzare, sterilizzare o compromettere i pilastri di questo sistema di micro autonomie. In questi mesi, due di essi – tra i tanti per fortuna presenti e vivi – mi sembrano particolarmente meritevoli di analisi e di discussione pubblica: la rete dei piccoli comuni delle valli ed il sistema cooperativo. Sul primo punto è nota la mia posizione, che non coincide con la linea di politica istituzionale seguita dal Governo Provinciale: penso peraltro che molti sindaci di piccoli comuni, i quali avevano di fatto sabotato le Comunità di Valle perché temevano che esse avrebbero compromesso le loro piccole realtà municipali, abbiano forse oggi motivo di una qualche riflessione, magari almeno un po’ autocritica. Mi permetto invece qui di dire la mia sul sistema cooperativo e sulla sua evoluzione nel settore del credito: tema che ritengo non adeguatamente presente, viste le sue possibili ricadute concrete, nella discussione pubblica locale. La mia opinione è che purtroppo sta avanzando a livello internazionale (primo attore il FMI) un tentativo pericoloso di “de mutualizzare” la cooperazione. In particolare nel settore creditizio, si parla di garanzie patrimoniali necessarie e di sistemi di governance adeguati e via dicendo: questioni in parte certamente da prendere in esame. Ma in realtà si punta a cancellare – oppure a ridurre in ambiti talmente marginali da essere “innocui” – un modello di economia diverso da quello tradizionalmente capitalistico ed un modello di credito a base mutualistica. Questi modelli “diversi” di economia e di credito sono stati e sono – per l’appunto – uno dei pilastri della nostra costituzione materiale e del carattere sociale del nostro Trentino: come tali, sono tra i pilastri della nostra Speciale Autonomia. Vi sono ragioni di scala, di efficenza e di trasparenza che valgono anche da noi, certamente. Ma non possiamo assistere senza reagire al tentativo di partire da queste pur valide ragioni (affrontabili in tanti modi) o da qualche errore pur compiuto, per mettere tutto il credito cooperativo in un minestrone nazionale, magari per mescolare sistemi territoriali acciaccati dalla crisi ma sani – come il nostro – e sistemi ormai compromessi. E neppure si può accettare che le buone ragioni della correttezza e della prudenza gestionale si traducano nel sostanziale esproprio di ogni funzione sia dei soci e degli amministratori delle Casse Rurali (spero peraltro che non si spingano avanti macro processi di fusione tra Casse in modo da cancellare ogni riferimento al territorio, allontanando ancora di più in socio dalla cooperativa) sia del sistema territoriale nel suo insieme. Per questa ragione, ritengo che sia necessaria la massima consapevolezza della opinione pubblica sui passaggi che si stanno profilando. Non si possono lasciare soli, in questi momenti, i dirigenti del movimento: occorre che essi sentano la vicinanza solidale di tutta la comunità in una battaglia che – spero – potremo condividere sia nel mondo cooperativo sia nelle istituzioni e in Parlamento. Mi riferisco a due punti cruciali. Primo: la nuova regolamentazione del settore non deve obbligare il credito cooperativo ad un unico gruppo bancario nazionale: Cassa Centrale – in prospettiva magari anche di ulteriori integrazioni per esempio con gli amici sud tirolesi oggi forse troppo sicuri della loro solitudine – non deve essere costretta “ope legis” ad annullarsi in un gruppo nazionale. Comunque la si guardi – pur considerando le possibili ricadute positive per le competenze tecniche che potrebbero essere valorizzate per qualche tempo in tale gruppo unico nazionale – si tratta di una decisione che impoverisce l’autonomia del sistema cooperativistico trentino e la sua responsabilità di decidere in ordine ad una attività fondamentale per la qualità sociale ed economia del Trentino come quella creditizia. Secondo: ove fosse garantita la possibilità di più gruppi bancari di riferimento, le soglie di patrimonializzazione vanno fissate a livelli certo severi ma anche ragionevoli, in maniera da non negare ipocritamente in via di fatto ciò che è concesso in via di diritto. Per quanto mi consta – da non addetto ai lavori – la soglia ragionevole dovrebbe essere più vicina ai 500 milioni che al Miliardo di cui si vocifera e si legge sulla stampa. Ove così non fosse, andrebbe comunque fatto uno sforzo straordinario, anche con forme di collaborazione tra risorse pubbliche, private e collettive, per raggiungere gli standard richiesti. Se questi obbiettivi venissero raggiunti – dando così un segnale di civiltà e di serietà contro questa insulsa strategia di omologazione al pensiero unico finanziario che ha portato il mondo sull’orlo della bancarotta e l’economia sulle soglie di una profonda crisi di senso – toccherebbe poi al sistema trentino operare per una politica del credito forte e lungimirante, creando sinergia tra i vari comparti, sperimentando anche idee innovative di servizi finanziari alle imprese e dando corso a idee già elaborate, come ad esempio quella riguardante il progetto di integrazione tra Mediocredito e Cassa Centrale. Ma se il processo di verticalizzazione del potere dovesse prevalere anche in questo campo, tutto questo sarebbe molto più difficile e la nostra comunità autonoma sarebbe meno comunità e meno autonoma.