Ci eravamo tutti appassionati e commossi di fronte alle primavere arabe, che avevano portato alla luce, pur nelle contraddizioni tipiche di trasformazioni epocali, una sponda sud del Mediterraneo del tutto inedita e una generazione desiderosa di democrazia e di apertura.
Poi, ci siamo tutti dimenticati di queste vicende, siamo tornati ad occuparci dei fatti nostri ( come se quel che accade da quelle parti non ci riguardi molto da vicino ), mentre piano piano queste enormi energie venivano messe di nuovo ai margini, se non tradite e nuovamente soffocate.
Poi ci siamo tutti indignati qualche giorno fa, difronte al massacro del Museo di Tunisi, cuore dell’unico Paese di quella regione che aveva faticosamente imboccato la via della democrazia e dei diritti umani.
Domenica ci siamo di nuovo commossi per la grande manifestazione popolare, con la quale la popolazione ha risposto un secco no al terrorismo e alle suggestioni di un nuovo Califfato.
Fino a quando la nostra attenzione e la nostra condivisione reggeranno? Temo poco.
A meno che non ci abituiamo al fatto che ciò che succede nella sponda sud del Mediterraneo deve ormai far parte delle nostre preoccupazioni quotidiane; come se si trattasse di ” politica interna ” e non ” estera”.
Compito dei governi e delle istituzioni europee, certamente. Compito dei mass media ( che magari potrebbero propinarci meno idiozie e chilometrici servizi sui casi Meridit di turno), altrettanto certo. Ma è anche compito di tutti noi. Anche delle città. Anche di Trento. Anzi, forse Trento può mettere in campo una sua vocazione peculiare.
Trento e’ la città di Chiara Lubich, di tanti missionari religioni e laici, di decine di organizzazioni di cooperazione internazionale. È città universitaria e di ricerca che ospita giovani provenienti da decine di Paesi. Assieme a Rovereto, Trento ospita centri di monitoraggio, studio e formazione in tema di conflitti e di aree geopolitiche critiche ( Osservatorio sui Balcani; Centro FBK diretto da Filippo Andreatta; Dottorato in studi internazionali, Centro di Formazione alla Cooperazione, solo per citarne alcuni ).

La mia proposta è che tutte queste realtà si impegnino su un obbiettivo coordinato e preciso: aprire un ” media civico ” attraverso cui giovani trentini e giovani tunisini possano condividere, riflettere, discutere – e, perché no, sognare – assieme in una fase così importante per quel Paese.

Un media civico che potrebbe aiutare nell’unire le due sponde del Mediterraneo rafforzando i legami sociali tra le diverse comunità focalizzandosi sulla responsabilizzazione delle comunità di giovani a partecipare attraverso il dialogo e il confronto alla ricostruzione della vita civile.

Un modo per far crescere la coscienza civile e storica dei giovani trentini attraverso l’infosfera civica, ma sopratutto per far sentire meno solo chi è chiamato in prima persona a costruire la propria via alla democrazia in un contesto drammaticamente difficile. Servirebbe anche per far nascere contatti diretti tra studenti, giovani, espressioni della società civile di qui e di la’. E accanto a questo, si potrebbe prevedere di ospitare per periodi di formazione gruppi di studenti tunisini, magari attraverso la straordinaria realtà di Rondine di Arezzo, che da anni – e per qualche tempo anche in collaborazione con il Trentino – si occupa di coltivare i rapporti con la futura classe dirigente dei Paesi in conflitto o in transizione democratica.
Investire in questa direzione non è solo un dovere civile e morale: e’ anche preparare con lungimiranza e intelligenza un terreno favorevole per future ( ma non troppo future ) collaborazioni economiche.