Che cosa hanno in comune Landini e storia della Dc Trentina? Poco o punto, si dirà. Vero. Il leader della Fiom propone una “coalizione sociale” per ripristinare il ruolo politico del sindacato e per dare rappresentanza alle persone più penalizzate dalla crisi e dalle politiche di austerità. Mentre il libro di Paolo Piccoli e Armando Vadagnini sulla storia della Dc Trentina fino al 1994 dà conto, con la capacità e la passione tipiche degli autori, del ruolo di questo partito quale perno delle vicende sociali e istituzionali della comunità locale. Eppure, a ben vedere, ambedue questi fatti ci spingono a interrogarci su una questione fondamentale per la nostra democrazia: in che modo la politica può essere ” rappresentanza” e non solo “rappresentazione” dei bisogni sociali e con quali forme essa può costituire l’infrastruttura attorno alla quale si articola il libero dispiegarsi delle aspirazioni e degli interessi della società in maniera rispettosa del bene comune? Non condivido il merito della proposta di Landini ne’ mi persuade la strada da lui immaginata per rilanciare il ruolo del sindacato in Italia e in Europa. Tuttavia le questioni sollevate non possono essere archiviate. Una parte crescente di cittadini si sente fuori dai meccanismi della democrazia sostanziale ed è spinta a non identificare più necessariamente il modello della democrazia rappresentativa come sinonimo di speranza in un futuro più sicuro e positivo. O, per riprendere quanto detto dall’on. Enrico Letta venerdì scorso a Rovereto, è pronta a scambiare una parte della propria libertà con maggiore efficienza e più credibili prospettive di protezione e soddisfacimento dei propri interessi. La questione non è nuova in verità: anche in altre epoche storiche la contrapposizione tra libertà ed efficienza ha connotato le vicende della democrazia. Nei periodi migliori, una credibile infrastruttura politica ha saputo fare sintesi tra questi fattori, ha composto la tendenza alla frammentazione della società e ha assorbito le pulsioni populiste. Proprio nel citato libro sulla Dc Trentina si trova riscontro di un modello che per alcuni decenni – pur con gli inevitabili errori – ha saputo interpretare la domanda sociale, garantire la partecipazione diffusa, valorizzare i corpi intermedi e nel contempo esercitare una autorevole funzione di indirizzo e di guida dei processi. Un modello irripetibile, ovviamente, in un contesto storico radicalmente mutato come quello attuale. Ma il problema rimane. Qual è oggi l’infrastruttura politica che sorregge il disegno di sviluppo dell’Autonomia Trentina, assolvendo – nel nuovo contesto – alle stesse funzioni, dopo la fine di quel modello e dopo la stagione ( si parva licet…. ) della Margherita Trentina? I due fatti che ho citato mi sembrano utili stimoli per una riflessione non banale attorno al deficit di rappresentanza degli interessi sociali, invero oggi sempre più frammentati e di difficile lettura. E mi sembrano anche validi spunti per riflettere attorno alla questione della “forma” e degli strumenti che la politica deve assumere per essere veramente infrastruttura comunitaria. Forse, in effetti, è veramente tempo di aprire cantieri civici democratici.