Intervento pubblicato oggi, domenica 16 novembre, sul quotidiano Trentino

L’Autonomia trentina non vive senza politica. Non basta il potere per guidare una comunità in un momento di difficile transizione, sopratutto se questa comunità vuole rimanere unita, competitiva, capace di mettere assieme il valore della tradizione con quello della innovazione. Essere autonomi costa sacrificio, in realtà; è faticoso, non banale. Richiede generosità e impegno eccezionali. Occorre che la politica sia sempre in tensione. Non si può mai rilassare; deve coltivare in ogni fase storica la sua vocazione all’anomalia. Mi pare di cogliere, in questo senso, i segni di una difficoltà che non risparmia nessun partito e nessuna area politica, ad iniziare dalla maggioranza e che non può essere superata con le sole dinamiche, peraltro esse stesse non semplici, come si vede ogni giorno, del governo provinciale. Per la responsabilità che ho avuto nel concorrere, con tantissimi altri, a costruire un pezzo della anomalia politica del Trentino e a tradurla in una visione aperta dell’autonomia, mi sento di poter e dover proporre un momento di riflessione non scontata, non preconfezionata e men che meno appiattita sulla guerriglia di reciproco logoramento o immiserita nella corsa alla campagna acquisti che ultimamente sembrano assorbire gran parte delle energie. Una riflessione aperta a trecentosessanta gradi, dentro e fuori il perimetro delle istituzioni politiche. Del resto, abbiamo di fronte rapide evoluzioni dell’assetto politico nazionale ed europeo e viviamo cambiamenti radicali sul piano sociale, culturale, demografico, economico. Ed è in questo tempo di incertezze e inquietudini che dobbiamo aggiornare le nostre idee sullo sviluppo (al di là degli indicatori classici della crescita) e rinegoziare il nostro Statuto di Autonomia sotto il vento impetuoso della verticalizzazione del potere e del centralismo statalista. Non sarà una passeggiata trovare il modo di rimanere noi stessi: un piccolo ma riconoscibile e stimato Land, collocato nel cuore di un arco alpino che rischia l’osso del collo tra omologazioni ai modelli metropolitani e processi di spopolamento. Certo è che ciò non sarà possibile senza un forte progetto culturale e politico e senza una visione condivisa di comunità. Avverto perciò l’esigenza di aprire senza indugio questa riflessione. E di derivare da essa un progetto politico che sarà tanto anomalo e sfidante quanto lontano sapranno arrivare la nostra fantasia, il nostro coraggio, la nostra vocazione ad andare oltre non per moda o per semplice maquillage di ciò che esiste, ma per naturale disponibilità ad accompagnare e – se ne siamo ancora capaci – ad anticipare le evoluzioni delle cose. Il 6 dicembre, giorno di san Nicola (che in molti paesi del Nord Europa si crede porti i doni di Natale) potrebbe essere un buon giorno per ritrovarsi e iniziare un discorso.