Intervento pubblicato oggi dal quotidiano Trentino

Oggi, per decisione del Presidente, le porte del Palazzo della Provincia saranno aperte ai cittadini. Spero che in molti ne approfittino. Non solo per visitare un palazzo, ma per marcare simbolicamente una appartenenza e per ribadire una responsabilità: quella di essere una Comunità Autonoma. Questo è il senso vero della Festa dell’Autonomia, celebrata in modo solenne ieri in Sala Depero, anche attraverso il conferimento del Premio Degasperi ad un Romano Prodi che ha parlato da vero statista.

Nel suo di­scor­so, Prodi si è espres­so sulla no­stra Au­to­no­mia in modo non solo po­si­ti­vo, ma anche esi­gen­te. Ha colto il va­lo­re del per­cor­so che il Tren­ti­no ha fatto sul piano so­cia­le, eco­no­mi­co e cul­tu­ra­le ma so­prat­tut­to ci ha in­di­ca­to una mis­sio­ne “eu­ro­pea”: es­se­re an­co­ra una volta, di fron­te alla crisi po­li­ti­ca ed eco­no­mi­ca di que­sto no­stro tempo, un la­bo­ra­to­rio di fron­tie­ra che av­vi­ci­na l’Eu­ro­pa di ma­tri­ce la­ti­na al mondo te­de­sco. E’ la no­stra sto­ria, resta il no­stro fu­tu­ro. Per que­sto, però, dob­bia­mo es­se­re sem­pre più con­sa­pe­vo­li della no­stra au­to­no­mia. Che non è solo un fatto giu­ri­di­co, ma – ap­pun­to – è prima di tutto una co­sti­tu­zio­ne ma­te­ria­le, un in­sie­me di va­lo­ri, di espe­rien­ze, di con­vin­zio­ni: una cul­tu­ra col­let­ti­va che in­ter­pre­ta una vo­ca­zio­ne unica e ir­ri­pe­ti­bi­le. Non è fa­ci­le avere oggi que­sta vi­sio­ne del­l’au­to­no­mia. Vi­via­mo in un tempo dif­fi­ci­le. Non solo per i pro­ble­mi eco­no­mi­ci e so­cia­li, ma anche e so­prat­tut­to per l’in­cer­tez­za e l’in­quie­tu­di­ne che ci per­va­de di fron­te agli sce­na­ri che cam­bia­no ra­di­cal­men­te. E’ un tempo molto di­ver­so da quel 5 set­tem­bre del 1946. Al­lo­ra era­va­mo schiac­cia­ti dalle ma­ce­rie della guer­ra. E da quel­le ma­ce­rie, che erano alle no­stre spal­le, le lea­der­ship co­rag­gio­se e lun­gi­mi­ran­ti hanno sa­pu­to tirar fuori la vo­glia di ri­co­strui­re; la spe­ran­za in una Ita­lia de­mo­cra­ti­ca e in una Eu­ro­pa unita e pa­ci­fi­ca­ta. E’ in que­sto clima mo­ra­le e po­li­ti­co che ha tro­va­to forma, per la prima volta nella no­stra sto­ria, l’a­spi­ra­zio­ne del Tren­ti­no al­l’au­to­no­mia isti­tu­zio­na­le. Certo, esi­ste­va una se­co­la­re tra­di­zio­ne di “micro au­to­no­mia” fon­da­ta sulle an­ti­che con­sue­tu­di­ni di co­mu­ni­tà, così ti­pi­che della cul­tu­ra al­pi­na. Certo, an­co­ra, il Tren­ti­no aveva po­tu­to “an­nu­sa­re” l’i­dea del­l’au­to­no­mia du­ran­te l’e­spe­rien­za del Ti­ro­lo. Ma quel­la espe­rien­za, così si­gni­fi­ca­ti­va quan­to al “co­mu­ne sen­ti­re” delle genti, non aveva con­sen­ti­to pie­na­men­te al Tren­ti­no di avere una sua pro­pria per­so­na­li­tà isti­tu­zio­na­le, ca­pa­ce di va­lo­riz­za­re in uno spi­ri­to di Land la rete delle micro au­to­no­mie che in­ner­va­va­no il suo ter­ri­to­rio. Ciò è av­ve­nu­to solo con gli Sta­tu­ti (il primo e so­prat­tut­to il se­con­do) adot­ta­ti a se­gui­to del­l’im­pian­to con­di­vi­so a Pa­ri­gi da De­ga­spe­ri e Gru­ber. E da li è par­ti­to il no­stro cam­mi­no di ri­scat­to dalla po­ver­tà e dalla mar­gi­na­li­tà. Oggi le ma­ce­rie te­mia­mo di aver­le non alle no­stre spal­le, ma nel fu­tu­ro dei no­stri figli. E te­mia­mo che siano ma­ce­rie non solo eco­no­mi­che, ma anche ci­vi­li. In tutta Eu­ro­pa la de­mo­cra­zia non sem­bra più, a molti, si­no­ni­mo anche di be­nes­se­re dif­fu­so. Il senso del bene co­mu­ne sem­pre meno di­ven­ta mi­su­ra per tem­pe­ra­re i pre­sun­ti di­rit­ti in­di­vi­dua­li. Nuove cen­tra­li­tà emer­go­no a li­vel­lo glo­ba­le. L’in­cer­tez­za nel fu­tu­ro marca for­te­men­te la vita per­so­na­le e col­let­ti­va. E’ dun­que un tempo dif­fi­ci­le. Ma pro­prio per que­sto dob­bia­mo strin­ger­ci so­li­da­li at­tor­no alla no­stra Au­to­no­mia. Essa ci chie­de cose esi­gen­ti. Ci chie­de fa­ti­ca e im­pe­gno. Ma è l’u­ni­ca di­men­sio­ne pos­si­bi­le del no­stro es­se­re co­mu­ni­tà aper­ta, so­li­da­le, com­pe­ti­ti­va.