intervista pubblicata dal Corriere del Trentino in data 4 settembre 2014
«L’autonomia è fatica, la vogliamo ancora? Necessaria una tensione culturale e sociale. La salvaguardia non basta. Entro un anno serve una proposta»
TRENTO — Un anno per approntare il nuovo Statuto di autonomia, in tempo per inserirlo nell’adozione definitiva della riforma costituzionale. Prima, mettere al sicuro i conti, chiudendo con il governo l’accordo finanziario. È la road map che Lorenzo Dellai suggerisce per l’adozione del terzo Statuto, un passaggio che che definisce «obbligatorio» e insieme «molto rischioso». A monte di tutto, però, una domanda da porre non alle istituzioni, ma ai trentini: «La vogliamo ancora l’autonomia?». Con alcune importantissime luci e molte ombre, il Senato ha adottato in prima lettura la riforma costituzionale che, tra le altre cose, riduce drasticamente i poteri delle Regioni. Al Trentino basta la norma di salvaguardia? «No. Anche in quella norma ci sono luci e ombre. Si parla di “adeguamento attraverso intesa”. La necessità di un’intesa è sicuramente una luce, ma la parola adeguamento è una pericolosa ombra. Prima che la riforma costituzionale venga perfezionata credo passerà ragionevolmente un anno, un anno e mezzo. Trento e Bolzano ne hanno a disposizione uno per elaborare il nuovo Statuto, da consegnare a noi parlamentari in tempo per poterlo inserire nella riforma». Non sarebbe più prudente, in questa fase di grande e diffusa ostilità verso le autonomie, mantenere questo Statuto ed evitare i pericoli di un dibattito parlamentare sul tema? «La strada che abbiamo davanti è obbligata. Non “adeguare” lo Statuto potrebbe portarci non solo a problemi amministrativi, ma a veri e propri conflitti costituzionali. Dobbiamo farci trovare pronti con una nostra proposta. Abbiamo di fronte un passaggio che è insieme obbligato e molto rischioso. L’aria che si respira è di grande antiregionalismo dettato in parte dal fallimento del regionalismo, in parte dalla convinzione che la crisi si possa superare accentrando il potere». Il senatore Palermo propone da tempo una Convenzione per il nuovo Statuto. «Non ho nulla contro quella proposta, anche se un po’ macchinosa: la Convenzione va istituita con legge regionale. Ciò che sicuramente condivido della proposta è la necessità di coinvolgere e responsabilizzare le nostre comunità. Come trentini dobbiamo partire chiedendoci se la vogliamo ancora la nostra autonomia». L’autogoverno è anche fatica. «Appunto. L’autonomia vuol dire fatica. Significa sapere che non basta limitarsi a copiare, o adeguarsi a ciò che decidono altri. La riscrittura dell Statuto è prima di tutto e soprattutto un fatto culturale, sociale, politico e solo da ultimo istituzionale. Per questo è necessaria una tensione culturale collettiva». Come se lo immagina il nuovo Statuto? «Credo si debbano realizzare tre condizioni. La prima interna: abbiamo bisogno di un’autonomia aperta, diffusa, partecipata e forte. Aperta, anche in termini statutari, perché la nostra regione, con Innsbruck, deve essere la capofila di un nuovo governo dell’arco alpino. Diffusa, perché non basta che la Provincia sia autonoma, lo devono essere anche i territori». Scusi se la interrompo. A proposito di autonomia diffusa: con la riforma delle Comunità di valle non si rischia di fare a Trento ciò che si contesta a Roma? Ossia reagire alla crisi riaccentrando tutto il potere in Provincia? «È il grande rischio. Io spero che non si faccia un simile errore, ma che al contrario si vada verso una statualità della Provincia, intesa come Land, trasferendo funzioni e competenze ai territori. Diversamente, le nostre valli rischiano davvero di rimanere indietro. Dicevo, un’autonomia partecipata perché serve una gestione collettiva. Penso ai beni comuni, al volontariato incluso nel sistema. Infine forte e qui mi riferisco alle competenze». Quali? «Quelle del secondo statuto hanno riguardato il governo del territorio, le nuove, in un contesto di globalizzazione, dovranno riguardare il governo dei flussi: la conoscenza, il lavoro, la finanza. Si tratta di competenze di relazione, fatte di patti e accordi. Contemporaneamente, vanno messe al sicuro le competenze che la cancellazione delle materie concorrenti per le Regioni ordinarie mette a rischio: l’energia, le infrastrutture, quelle già disciplinate dalle norme di attuazione. Non partiamo da zero, lo studio di Toniatti già aveva realizzato un lavoro egregio». La seconda condizione? «Quella esterna. Oggi la politica è principalmente comunicazione. Abbiamo bisogno di pensatori, intellettuali e comunicatori che diano sull’esterno un’immagine positiva del Trentino Alto Adige. La terza condizione è che, nel frattempo, si mettano al sicuro gli strumenti finanziari grazie a un accordo col governo sul Titolo VI dello Statuto, una parte che non va discussa in Parlamento». Compresa la norma di attuazione? Dopo il patto di Milano fu quella che venne a mancare. «Sì, prima l’accordo si traduce in norma e meglio è. Bisogna poi trovare un nuovo nome per la Provincia. Rimanere l’unica Provincia d’Italia genererebbe solo confusione all’esterno. Io mi sono affezionato a “Comunità autonoma” perché rende l’idea della diversità. La Regione potrebbe essere Unione regionale». A proposito di Regione, lei è stato spesso accusato di aver reso possibile lo svuotamento della Regione. Con il nuovo Statuto bisognerà decidere cosa farne. «Chi mi accusa ha scarsa memoria storica. Con l’adozione del secondo Statuto si fece la scelta irreversibile di togliere le competenze di governo alla Regione. Scelta che permise la pacificazione. Con la staffetta, si sono invece poste le basi per ciò che secondo me dovrebbe accadere: fare della Regione un luogo politico e non amministrativo, dove discutere, sempre insieme ad Innsbruck, di tutte le grandi strategie comuni». In quali campi? «In tutti: la ricerca, lo sviluppo, la sanità, le infrastrutture, l’energia. Un luogo dove pensare e operare in comune».