Dellai, sul progetto di riforma costituzionale si sta trovando la “quadra” (come amano dire i politici), e probabilmente ci resteranno schiacciate le Regioni. Quindi anche le nostre Province.
Questa riforma costituzionale, dal punto di vista dei rapporti fra Stato e Autonomie, è oggettivamente un passo indietro rispetto alla pista aperta nel 2001 con la riforma del Titolo V.
Un passo indietro anche perché c’è un altro clima nei confronti delle Regioni. Sono impopolari.
Sì. C’è la crisi che spinge verso una verticalizzazione dei rapporti e per una semplificazione delle decisioni, e dietro soprattutto c’è il fallimento dell’esperienza regionalista in Italia oltre che la delegittimazione anche della considerazione dei cittadini…
E non si distingue fra regioni che hanno marciato male e regioni o province che hanno messo a frutto l’autonomia.
Certo. Ma dobbiamo distinguerci. Dobbiamo toglierci dalla linea di tiro di questa riforma. Dobbiamo chiarire che siamo altro rispetto al regionalismo italiano.
Come lo spieghiamo che siamo altro? E soprattutto: ce la facciamo con quest’aria centralista?
Dobbiamo mettere in campo due strategie. Una difensiva e l’altra di “attacco”.
Cominciamo con la linea difensiva, la Maginot dell’autonomia.
Quella si fa in parlamento con due emendamenti alla riforma. Il primo è la cosiddetta norma di salvaguardia: quella che prevede che sul titolo V occorre l’adeguamento statutario delle Province di Trento e di Bolzano. Il secondo emendamento è quello vero, cioè quello che prevede l’inserimento dell’«intesa», ossia che tutte le modifiche dello Statuto devono essere fatte previa intesa fra le Province e lo Stato. Una parte che ora riguarda solo il titolo VI, quello delle norme finanziarie, mentre su tutte le altre materie, almeno in astratto, il Parlamento può intervenire.
Ma questa è solo pura difesa.
E infatti io credo sia fondamentale che non appena si giunge all’approvazione finale della riforma costituzionale il Parlamento possa approvare anche il Terzo Statuto, cioè l’aggiornamento dello Statuto alla luce del nuovo quadro costituzionale.
Quindi è qui che si va all’attacco secondo lei. E bisogna avviare subito la definizione del Terzo Statuto.
Sì. è necessario il rilancio della sfida autonomista.
Che tempi ci sono?
Il tempo dell’approvazione della riforma costituzionale: è partito l’iter in Senato, si arriverà in autunno alla Camera, per chiudere la quarta lettura ci vorrà circa un anno.
Tempi stretti…
Ma soprattutto occorrono idee.
Sul contenuto, vuol dire?
Sì. Sul contenuto. Lo Statuto non è solo una definizione giuridica: è il risvolto di un’idea di società. Al tempo del primo e del secondo statuto l’idea di società si formulava attraverso alcune parole chiave, come: pace tra gruppi linguistici, modernizzazione delle infrastrutture, industrializzazione, welfare diffuso, istruzione e conoscenza, tutela dell’ambiente…
E adesso?
Adesso credo si debba ragionare proprio su questo. Se si mette mano allo Statuto non è per difendersi da qualcuno, ma per ridefinire la trama della società. Occorre indicare un percorso. Servono nuove parole chiave.
Lei ha già immaginato delle parole chiave?
Sì. Due.
La prima?
È “comunità”. Il rischio di una società individualista e frammentata, liquida fino al punto che ciascuno perda il senso di un destino collettivo è un grosso rischio. Dobbiamo ritrovare il senso dello stare insieme.
La seconda?
“Apertura”. Quello che definivamo “glocal”. In un’epoca di flussi e di reti dobbiamo saper giocare la nostra carta del superamento dei confini. Noi, che siamo confine.
Quindi “fare comunità” e “fare reti”. In che modo si può dare sostanza a queste parole chiave?
Beh, prima bisogna consolidare l’acquisito, cioè tutte le competenze che già ci spettano. Poi si va a costruire strumenti per il nuovo percorso. Per la “comunità” io credo si debba rilanciare l’idea dei beni comuni, la gestione collettiva che è tipica delle nostre zone, come gli usi civici, per piccole comunità che magari un domani non potranno contare sul loro piccolo municipio. Servono strumenti che diano più voce alla democrazia diretta. E poi va ripensato il ruolo del Consiglio regionale.
Come vedrebbe il nuovo Consiglio regionale?
Come una Camera delle autonomie e della società civile.
Sulla falsariga della riforma del Senato?
Una riforma un po’ più ambiziosa, direi. Non solo rappresentanti di enti territoriali, anche rappresentanti di istituzioni culturali, sociali…
Con quali funzioni? Non legislativa, giusto?
Io immaginerei una funzione di rappresentanza della comunità, di codecisione su determinate materie con i consigli provinciali, e poi l’elaborazione di linee guida su certe materie, e poi azioni di monitoraggio…Insomma, spazio ce n’è e sarebbe una camera più moderna rispetto all’attuale sommatoria dei consigli provinciali.
E il glocal?
L’Euregio è già la strada maestra. Va costituzionalizzato il rapporto col Tirolo e quindi si istituzionalizzano accordi di natura europea, trasferendo quote di autogoverno anche ad altre zone.
Torniamo alla difesa. Lei ha parlato con la ministra Maria Elena Boschi sugli emendamenti che tutelino la specialità?
Sì. E devo dire che la ministra si è detta disponibile a dare un parere favorevole.
Quindi lei, Dellai, non solo in quanto presidente della Commissione dei Dodici, conferma di guardare principalmente al Trentino…
Direi che penso, con molto rispetto, visto che ci sono altri ora che devono decidere e senza dare l’idea di voler interferire, in punta di piedi, penso insomma che posso offrire comunque un contributo vista la mia storia.
intervista pubblicata sul quotidiano Trentino in data 29 giugno 2014