La modifica della legge elettorale si è imposta al centro del dibattito politico e della attività del Parlamento certamente per la determinazione del nuovo segretario del PD ma soprattutto – riconosciamolo – per la sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimi alcuni articoli del cosiddetto “Porcellum”.
Con tutta franchezza, nessuno può dire se, senza questa sentenza, i partiti – sopratutto i due oggi più consistenti – avrebbero profuso sforzi così importanti.
In ogni caso, questa centralità della riforma elettorale è senza dubbio positiva e meritoria. Non altrettanto mi sento di affermare per il metodo seguito da Renzi e per il merito dell’accordo da lui raggiunto con Berlusconi ed ora in discussione alla Camera. Quanto al metodo, vorrei innanzitutto eliminare un equivoco. Nessuno può contestare al segretario del PD di discutere di legge elettorale con il leader di una rilevante forza politica dell’opposizione. Se fossimo in una situazione ” normale “, nessuno avrebbe posto questo tema: la legittimità di una iniziativa di questo genere sarebbe riconosciuta da tutti come una banale ovvietà.
C’è però da tenere presente la peculiarità della situazione. Il Governo Letta era nato ad aprile proprio come ” necessità ” per due obbiettivi: dare credibilità alla politica finanziaria ed economica e dare impulso alle riforme costituzionali e a quella elettorale. Il Governo e la maggioranza avevano iniziato a lavorare anche a questo secondo obiettivo, ma ad un certo punto Berlusconi – a seguito della avvenuta votazione da parte del Senato sulla sua decadenza da senatore dopo una sentenza di condanna penale – si è sfilato dalla maggioranza ed e’ passato all’opposizione. Il suo partito si è diviso e Alfano ha costituito il Nuovo Centro Destra, che ha continuato a sostenere il Governo.
Ora, la scelta di Renzi di privilegiare il confronto e l’accordo con Berlusconi – come ripeto naturale e ovvia in un momento normale – pone due grandi problemi politici in una situazione tutta particolare come la nostra.
Primo: il PD ha insistito più di altri per accelerare il voto del Senato sulla decadenza di Berlusconi da senatore e poi lo rilegittima come leader politico e interlocutore essenziale per le riforme della Costituzione e della legge elettorale?
Secondo: le altre forze politiche sono costrette a sostenere il Governo assumendo anche i costi di misure impopolari e a Berlusconi viene concesso il comodo privilegio di starsene all’opposizione cavalcando la rabbia e la paura della gente in un momento drammatico e nel contempo di essere attore fondamentale per le riforme istituzionali ?
Non mi pare una grande strategia nel caso si voglia – come gli interessi del Paese richiederebbero – andare avanti con la legislatura almeno fino alla primavera 2015. A meno che il sottinteso non sia che si vota entro pochi mesi. In tutti due i casi, temo che si tratti di un successo politico di Berlusconi.
Quanto al merito, i problemi sono altrettanto complicati, nonostante l’euforia mediatica tipica di questa fase. I dubbi rispetto alla proposta Renzi-Berlusconi sono per me quattro più uno. Quattro di tipo istituzionale e uno di tipo politico.
Primo.
Si propone che una coalizione che riceve il 35% dei voti abbia il 55% dei seggi. Calcolando l’affluenza al voto degli ultimi anni, vuol dire che con il voto del 20% circa degli italiani in carne ed ossa, una coalizione controlla da sola il potere legislativo ed esecutivo. La cosa e’ fuori da ogni buon senso, oltre che da ogni tenuta costituzionale.
Secondo.
Si propone di impedire l’ingresso in parlamento alle liste che non ottengono il 5 per cento (l’ 8 se si presentano da sole, fuori da una coalizione). Combinato con ciò che si prevede al punto primo, può dunque accadere che una coalizione raggiunga il 35 per cento dei voti ma al proprio interno solo una lista superi il 5 per cento: in tal caso, questa lista – che per esempio ottenga il 20 o il 25% dei voti, beneficerebbe comunque del premio di maggioranza fino ad arrivare al 55% dei seggi.
Terzo.
Il sistema proposto non risolve affatto la questione della scelta dei singoli parlamentari da parte dei cittadini elettori. Resta un parlamento di ” nominati ” dai capi dei partiti, perché non sono previste le preferenze ma liste comunque ” bloccate “. Più corte di quelle del Porcellum, certo, ma comunque bloccate. E visto che il riparto dei seggi avviene a livello nazionale, il voto dato da un elettore alla lista A nel collegio di Torino, poniamo, perche’ nella lista figura una persona che quell’elettore ritiene degna di fiducia, può concorrere ad eleggere un candidato della stessa lista nella circoscrizione di Verona, per dire.
Quarto.
Non si capisce il rapporto logico e temporale tra la nuova legge elettorale e la ipotizzata – e si dice concordata – riforma della Costituzione per la cancellazione del Senato elettivo. In altre parole, si dovrebbe approvare subito una legge elettorale senza formalmente sapere se le Camere da eleggere sono una o due. Aggiungo a questo riguardo che quando si parla di modifiche costituzionali , forse, si dovrebbe usare una maggiore cautela. Va bene che oggi è il tempo del mordi e fuggi, ma la giusta e doverosa spinta al cambiamento dopo decenni di immobilismo dovrebbe tenere conto, per esempio, dei moniti accorati di Dossetti sulla cautela nel maneggiare la Costituzione.
Il punto aggiunto, di tipo squisitamente politico e’ il seguente: dietro a questa accelerazione – come dicevo per molti aspetti salutare – sulla strada della riforma elettorale, vi è anche un assunto che ritengo sbagliato. Si pensa che il problema della politica italiana siano i piccoli partiti e si profetizza senza troppo nasconderlo uno scenario di ” bipartitismo”. Vuol dire che non si è capito nulla delle contraddizioni di questi venti anni, ma che semplicemente si vuole ereditare il sistema, solo con nuovi protagonisti.
E infatti, per vincere, qualcuno rischia di assomigliare a chi questo sistema nel 94 lo ha inventato. Operazione ardita, oltretutto, perché si sa che l’originale – in prima o per interposta persona, magari anche per via di sangue – e’ alla fine più attrattivo della copia.
Vedremo in ogni caso come evolverà il dibattito nei prossimi giorni. Per quanto mi riguarda, la disponibilità al confronto e’ totale ma anche il richiamo ai principi di una democrazia non sterilizzata devono conservare la loro importanza, pur in una stagione di necessari e anche radicali cambiamenti.