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Assumiamolo non come notizia di marginalità, ma come cifra di potenziale vitalità.
Ho trovato molto lucido l’articolo di Lucio D’Ubaldo sul “centro extra parlamentare” e stimolanti gli interventi che lo hanno ripreso sul Domani d’Italia.

Del resto, sono tanti i “valori della politica” che oggi vivono – o cercano di vivere – in una dimensione “altra” rispetto al Parlamento ed alla sfera ufficiale della rappresentanza politico-istituzionale.

La crisi della rappresentanza (e della democrazia) sta in gran parte proprio qui.

Personalmente ritengo che ciò abbia avuto inizio nella drammatica interruzione del tentativo di riforma della politica e delle istituzioni a cavallo degli anni settanta e ottanta del secolo scorso.

Aldo Moro e Roberto Ruffilli ne sono i principali martiri. Ciriaco De Mita e Bettino Craxi (con visioni assai diverse e contrastanti: purtroppo, oso affermare) hanno cercato invano di trovare poi un pertugio difronte alla galoppante crisi di sistema.
È in quel tragico periodo che nasce il crescente scarto tra sistema politico e società italiana.
Da lì in poi si è cercato certo di trovare sbocchi innovativi.
Ma gli sforzi, anche nobili, sono stati tutti pensati più sul piano delle regole elettorali ed istituzionali che non su quello decisivo della riforma della politica e della sua intrinseca capacità di rappresentanza.
Gli effetti della globalizzazione, la crisi finanziaria del 2008/2010, le innovazioni della tecnologia digitale con il loro effetto demolitorio delle antiche categorie di spazio e di tempo; la crescita delle disuguaglianze dovuta alla crisi del compromesso europeo tra mercato e democrazia e, da ultimo, la Pandemia (che non sarà l’ultima) hanno solo accelerato e fatto esplodere una fragilità strutturale che, appunto, viene da un tempo remoto. Non è frutto della sola desolante inconsistenza della politica attuale.
Ha ragione Lucio: non è lontano il tempo del “rimescolamento delle carte”. Così il sistema non può reggere a lungo.

Ma tale rimescolamento delle carte non necessariamente sarà all’insegna di una svolta positiva.

Tra le molte cose che stanno oggi in una dimensione “extra parlamentare” vi è anche un carico sempre più consistente di rabbia, delusione, sfiducia, spaesamento, egoismo, voglia di tutto e subito, rifiuto dei vincoli della solidarietà e delle regole.

Così come “il sonno della ragione genera mostri”, il sonno della “Politica” genera alla lunga inimicizia sociale, pregiudizio, sclerosi dello spirito di comunità.

Non è detto che questo rimescolamento delle carte non travolga i nanetti di oggi in favore di “uomini forti”, ai quali affidare una insana speranza: quella di chi è disposto a barattare libertà con presunta sicurezza.

Ricostruire un “baricentro” democratico nella politica italiana è l’unico antidoto contro questo rischio mortale e al tempo stesso contro il declino economico e finanziario del Paese.
Ma, appunto, ciò deve avvenire con un percorso di “Base”. (Non cito questo termine a caso: il movimento messo in atto da Marco Bentivogli mi pare un contributo di grande interesse.)
Ma penso anche alle tante realtà spesso poco conosciute e valorizzate che nelle diverse comunità (civili, sociali ed anche economiche) e nei territori reagiscono al vento che tira e coltivano spazi di condivisione, di impegno, di formazione e di vera “politica”.
Lo stesso invito, con Andrea Olivero, l’abbiamo più volte espresso agli amici di Insieme.
I territori sono “produttori”, non solo “consumatori” di politica. Non più.
Lasciamo che i morti seppelliscano i morti. E pensiamo invece ai vivi.

I popolari di ispirazione cristiana devono sentire l’imperativo morale e politico di dare il proprio irripetibile contributo a questa ricostruzione del “centro/bari-centro”.

Sapendo che non sono più proponibili bandierine auto referenziali; servono linguaggi e strumenti nuovi; la nostalgia è fuori dal tempo presente; si impone un coraggioso investimento su classi dirigenti giovani e su nuovi paradigmi, tanto “rivoluzionari” nei contenuti e nei metodi, quanto “moderati” nella compostezza del rispetto istituzionale e ispirati a “mitezza” intesa come senso del limite della politica.

E sapendo che, da soli, non possono essere all’altezza dei propri doveri: il loro seme deve essere piantato in un campo plurale capace di far germogliare assieme i semi di altre culture vicine alla loro e anche quelli di sensibilità inedite, come la tensione al vero “umanesimo” ecologista al quale esorta Francesco.

Partiamo dalla felice espressione di Lucio sul “centro extra parlamentare”. Assumiamolo non come notizia di marginalità, ma come cifra di potenziale vitalità.

La politica nasce e si rigenera nella società, non nelle Istituzioni: in esse, porta il frutto di una “simbiosi col popolo” che nessuna congettura di Palazzo e nessuna alchimia tattica possono sostituire. O c’è o non c’è.

Per questa ragione torno sul punto. Serve un “soggetto politico-comunitario” che dia forza e visibilità ai “popolari di ispirazione cristiana” e serve un “soggetto politico-elettorale” plurale e condiviso con chi ha la nostra stessa lettura delle cose, che dia forza e novità ad un “baricentro” capace di smascherare il devastante nulla dei populismi; di disinnescare la spinta alla “post democrazia” che la destra sta coltivando da tempo; di costruire una vera “nuova coalizione” per trasformare il Paese senza rinunciare ai valori della condivisione, dell’Europa e della democrazia comunitaria.