La decisione fondamentale che, in Trentino, sta di fronte a quanti non si identificano nelle forze populiste giallo-verdi al Governo di Roma è la seguente: provare a costruire una proposta di governo di segno diverso oppure rassegnarsi a interpretare singoli spezzoni di diversità in attesa del “dopo”?
Il tema riguarda la coalizione uscente in Provincia ma anche altri soggetti e movimenti che si stanno affacciando alla possibile contesa elettorale di ottobre.
Mi riferisco ad esempio a Francesco Valduga e al movimento degli amministratori comunali che fanno riferimento a lui.
Nella sua recente intervista ad un quotidiano, Valduga propone una analisi della situazione apprezzabile e in larghissima parte condivisibile, in ordine alla crisi della politica e alla difficoltà dei partiti.
Ma temo che dalla analisi faccia derivare una proposta del secondo tipo.
In che modo, infatti, il suo ragionamento può concorrere alla costruzione di una proposta di governo diversa rispetto a quella populista?
Come si può pensare che essa nasca semplicemente attraverso un appello alle “singole persone per bene”, mentre si pone un veto alle forze politiche che in questi anni hanno interpretato quei filoni culturali popolari e riformisti ai quali lo stesso sindaco di Rovereto dice di richiamarsi?
I contenitori sono in crisi, dice Valduga. Vero.
Tuttavia, mi pare ingeneroso – e un tantino presuntuoso – liquidare come rottame inservibile la comunità politica e umana che ancora comunque cerca di animarli e attraverso la quale – con luci ed ombre, per carità – è stato garantito il governo dell’Autonomia in questi difficili cinque anni.
È giusto che a questi contenitori/partiti si chieda il coraggio di cambiare, anche radicalmente; anche mettendosi in discussione fino in fondo.
Non a caso, l’UPT cerca di farlo. Non a caso siamo stati i primi a sconsigliare la strada della semplice blindatura degli attuali assetti e a proporre una totale “rigenerazione della coalizione”. Che non è solo questione di definizione formale.
Anche a metà degli anni novanta, in un contesto certo radicalmente diverso, ci siamo trovati difronte al problema dei “contenitori” in crisi: addirittura alcuni, come la DC, si erano improvvisamente sciolti.
Non abbiamo fatto un semplice appello alle “persone per bene”: abbiamo proposto all’allora nostro contenitore (il PPI) un coraggioso percorso di ripartenza. Abbiamo costruito la Margherita Trentina, un partito allora di nuova concezione ma di salde radici nella cultura popolare. E abbiamo costruito, nello stesso tempo, una Alleanza politica che poi ha interpretato per quasi vent’anni il governo dei principali municipi e della Provincia.
Ovviamente non si possono ricopiare le formule del passato: ogni stagione deve trovare le sue.
Ma l’esigenza della rigenerazione e della responsabilità verso il quadro generale della politica rimane la stessa. E richiede nuovi interpreti.
Del resto, che cos’è la cultura del “centro” secondo la testimonianza di Degasperi e poi di Moro se non sforzo per ricomporre le pulsioni e le attese della comunità in un disegno inclusivo di evoluzione sociale e di democrazia?
E che cos’è il fondamentale principio della “coalizione” – così radicato nella cultura democratico-cristiana – se non il rifiuto di ogni integralismo e la traduzione politica della responsabilità verso il bene comune?
La posta in gioco, qui ed ora, non è indifferente.
Il rischio – sempre più probabile – di una Autonomia governata da un mix di populismo dell’intolleranza e populismo delle pretese camuffate da diritti dovrebbe imporre a tutti riflessioni e disponibilità all’altezza della situazione.