Al di là del riferimento alla mia persona, che trovo eccessivamente generoso nella valutazione del mio ruolo, la provocazione di Elmar Pichler Rolle pubblicata domenica su questo giornale non può passare inosservata. Sia per le sue implicazioni trentine che per quelle bolzanine. Seppur in forma articolata si parla infatti di “partiti gemelli” ciò che traspare dall’intervento dell’ex Presidente della SVP sembra un passo verso il superamento del “partito etnico” di raccolta, in direzione di una più marcata idea “partito territoriale” a dimensione “bi-provinciale”. Ipotesi suggestiva, non priva peraltro di rilevanti incognite e di problematicità. Avverto in ogni caso una questione preliminare che va affrontata quale base per ogni possibile ragionamento. L’idea dell’Autonomia, in Trentino, ha ancora un suo sufficiente “carisma”, tale da poter essere considerata fondativa di un progetto politico territoriale? Leggendo i dati elettorali di domenica, ma anche interpretando altri segni, si potrebbe purtroppo supporre che non è scontato. Quando si parla di Autonomia, quali corde riusciamo a far vibrare nel cuore e nella mente della maggioranza dei trentini? La domanda non è impropria, se i giovani sembrano lontani da tale suggestione e hanno preferito seguire altre parole chiave; se abbiamo percepito una sostanziale indifferenza da parte di quasi tutti i mondi vitali della società civile, dello stesso mondo cattolico organizzato e delle gerarchie; se perfino chi lavora dentro le strutture operative gestite dall’Autonomia pubblica amministrazione, scuola, sanità pare abbia votato in larga maggioranza contro la coalizione che da sempre ha avuto nella promozione dell’Autonomia il suo DNA. Non può essere solo questione di errori o di scarso appeal dei candidati o delle leadership. Temo sia una questione ben più profonda e difficile da affrontare, poiché attiene appunto ad una crisi di “carisma” dell’idea autonomistica. Una questione che, detto per inciso, non è estranea neppure a Bolzano, se vogliamo guardare oltre gli aspetti del voto esclusivamente etnico e se vogliamo leggere bene dentro i risultati del voto di domenica. In ogni caso, per noi trentini, bisogna indagare a fondo. Tuttavia, qualche primissimo spunto già provo ad avanzarlo. Ciò che emerge è che per molti cittadini trentini l’Autonomia da un lato viene percepita come “potere assoluto” e dall’altro come “potere impotente”. Perché “potere assoluto”? Perché, da alcuni decenni, la Provincia ha visto concentrare su se stessa una grandissima quantità di funzioni e di potestà. Ciò ha rafforzato enormemente l’Autonomia ma nel contempo l’ha esposta al grande rischio di essere percepita come gigantesco apparato politico-burocratico. Il “potere”, insomma, nella stagione dell’anti potere. E più noi, con giusto orgoglio, parlavamo di questo in campagna elettorale, più cresceva il nostro divario con la maggioranza dei trentini. C’è di tutto in questa percezione, di vero e di meno vero: territori di periferia che percepiscono processi di concentrazione fondati solo sulla scala della quantità; amministratori comunali alle prese con le gestioni associate; piccoli imprenditori e volontari nei vari settori stressati dalle pesantezze burocratiche; cittadini convinti di essere penalizzati da procedure troppo invasive, lunghe e pesanti. Perché “potere impotente”? Perché, nello stesso tempo, molta gente avverte che questo potere assoluto diventa invece sempre più “impotente” difronte alle sfide nuove della globalizzazione: i nuovi scenari migratori; la nuova divisione internazionale del lavoro; la competizione scientifica e tecnologica; le questioni della sicurezza, per citare le principali. A ciò vanno aggiunti due fenomeni di portata generale: la crisi della democrazia rappresentativa (e soprattutto della sua inalizzazione “sociale”) e la frammentazione dei diritti collettivi, che inesorabilmente hanno ceduto spazio all’emergere prepotente di quelli individualistici. Fenomeni che, seppur in misura minore, hanno riguardato anche il Trentino e mettono a dura prova la sua tradizionale “costituzione materiale”. Come ho cercato di dire, tutto ciò sopratutto per noi che abbiamo perso di brutto le elezioni di domenica scorsa deve indurre ad una riflessione profonda, seria, connotata da umiltà e da sincera volontà di capire quello che sta succedendo, senza arroganze e senza sciocchi ammiccamenti ai vincitori di oggi. Presto, speriamo, ci sarà il tempo del riscatto, delle nuove idee e di chi le potrà interpretare. L’importante è non perdere il filo della trama. Forse, ci potrebbe essere di aiuto l’esortazione di Italo Calvino, nelle Città Invisibili, quando scrive che Kublai Kan, di fronte ai segnali di sgretolamento di quello che gli sembrava prima un grande, invincibile impero, solo nei resoconti di Marco Polo “riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana di un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti”. Questa filigrana va però ritrovata. È quella che ha costruito e reso grande il Trentino. È solo in parte “politica”; è prima di tutto sociale, valoriale e culturale. È comunitaria. Solamente così, al sogno sovranista e nazionalista della destra leghista e al nuovismo qualunquista dei grillini, potremmo ancora contrapporre il “sogno possibile” della nostra Comunità Autonoma, che abbia nella responsabilità e nella solidarietà la sua cifra; nella condivisione strutturata con Bolzano e Innsbruck la sua cornice naturale; nell’Europa il suo orizzonte.