Ho deciso di chiudere la campagna elettorale a Sagron Mis, il comune più piccolo e più lontano del mio collegio, per tre buoni motivi.
Primo. Dopo una campagna elettorale piena di urla, di slogan, di improbabili promesse sparate con la logica del “chi più ne ha, più ne metta” (e chi se ne importa se neppure Mago Merlino potrebbe realizzarle?), ho pensato che venire nel silenzio della nostra montagna trentina fosse la scelta migliore. Ed è quello che spero facciano tanti elettori: spegnere per un attimo la televisione e disconnettersi dai social. Per pensarci su con calma, a mente fredda, usando bene almeno un minuto di quel tempo che gli urlatori vogliono rubarci con la frenesia delle loro false certezze. Magari anche per parlare con i nostri ragazzi, molti dei quali sono tentati seguire quelle parole forti che, in realtà, sono prima di tutto contro il loro futuro, perché puntano a tornare ad una “Italia gambero”, che va indietro anziché avanti. Parole e proposte senza senso che, se vincessero, butterebbero alle ortiche in un minuto tutti i sacrifici che gli italiani hanno fatto in questi anni proprio per garantire ai ragazzi un futuro migliore.
Pensiamoci bene e diamo fiducia alle proposte meno accattivanti ma più serie, credibili, competenti. E anche più credibili nella difesa della nostra Autonomia.
Il secondo. Ho voluto essere in uno dei Comuni che testimoniano la tenace volontà della gente di montagna di tenere duro, di continuare nonostante tutto a scommettere sul suo territorio e sulle sue risorse. Che sono importanti per tutti, perché esprimono una enorme riserva di valori comunitari, di solidarietà, di responsabilità verso gli altri e verso la natura. Gente che continua nei lavori tradizionali della montagna, con sacrificio e si inventa nuovi mestieri, per sconfiggere il rischio dell’abbandono. Gente che merita rispetto, vicinanza, aiuto concreto da parte delle istituzioni.
Terzo. Sagron Mis mi ha sempre portato fortuna nelle campagne elettorali. Anche questa volta ci serve anche un po’ di fortuna. Ma essa, come sappiamo, aiuta gli audaci: noi lo siamo stati. Perché abbiamo parlato e non gridato. Abbiamo ragionato con la gente e non l’abbiamo tempestata di slogan. Abbiamo usato il linguaggio della verità, della responsabilità e non quello biforcuto della demagogia. Meglio perdere le elezioni che la dignità. E adesso, in pace con me stesso e grato alla moltissime persone che mi hanno aiutato in queste settimane, durante una bellissima campagna elettorale, attendo serenamente il giudizio degli elettori.