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Oggi la coalizione trentina del centro sinistra autonomista ha presentato i propri candidati alle elezioni politiche del prossimo 4 marzo.
È stato un passaggio importante.
Innanzitutto perché si è respirata un’aria di grande unità.
La coalizione per noi è un valore.
Anche quando nel resto del Paese il termine “coalizione” era quasi una brutta parola, noi quassù abbiamo coltivato e custodito le nostre diversità e assieme la nostra unità.
La politica senza culture di riferimento diventa arida. E l’unità, senza pluralismo, pura congettura di potere.

La nostra delegazione parlamentare uscente ha portato a casa, in questa Legislatura, risultati straordinari per Trento e Bolzano.
Abbiamo una squadra di candidate e candidati di grande qualità.
Abbiamo idee chiare per il futuro.
Piantiamola dunque di dire che “sarà dura”.
Possiamo fare un risultato elettorale molto positivo. Ci sono tutte le condizioni.

Certo, la politica è anche leggere i segni. E ci sono segni – anche in Trentino – che ci raccontano di una parte della domanda politica che rischia di sfuggirci.

Prima di tutto, la domanda politica che si esprime nel non voto.
Si tratta un miscuglio di tante cose: disagio, stanchezza democratica, egoismo, indifferenza, delusione, rassegnazione. In parte anche rancore.
Noi dobbiamo dire che l’Autonomia e’ un sogno collettivo.
Non votare significa comunque rendere questo sogno sempre più difficile per tutti.
Significa fare una scelta contro il bene comune.

In secondo luogo, dobbiamo fare i conti con un centro destra a trazione leghista.
E non è più la Lega di Bossi.
E’ la destra radicale e nazionalista. Una destra che inquieta. Una destra dei cattivi maestri che inducono all’intolleranza.
Diciamo chiaro e forte a tutti – anche agli elettori che non sono di centro sinistra – che la coalizione della moderazione, dell’equilibrio, della concretezza siamo noi.
I trentini non amano gli estremisti, le sceneggiate, le faziosità radicali.

In terzo luogo, leggiamo i segni di una crescente presenza del M5S.
Anche in questo caso, non è più il movimento di cinque anni fa.
Non punta più solo alla protesta: punta a dare voce ad una cifra fortissima di individualismo, frutto della rottura di molti rapporti sociali e ad insinuare la fine della democrazia rappresentativa. Due propositi preoccupanti che vanno sconfitti non con gli anatemi ma con la buona politica e con la sua credibilità.
C’è anche una domanda comprensibile e positiva di cambiamento che guarda con curiosità ai 5 Stelle.
In realtà è una domanda che tocca a noi intercettare.
Per noi, l’aspirazione al cambiamento non è l’effetto del rancore, di una generica voglia di buttare tutto all’aria: le cose brutte e quelle buone.
Per noi il cambiamento è l’essenza del progetto autonomistico; la naturale spinta a migliorare la qualità della vita delle nostre comunità; il rifiuto di ogni rassegnazione a vedere compromessi i risultati raggiunti dalle generazioni che ci hanno preceduto per effetto della nostra pigrizia.
Cambiamento e’ l’altra faccia della medaglia di una Autonomia che è da sempre progetto in evoluzione: è arte del seminare piuttosto che attitudine a custodire il raccolto.
L’hanno fatto i nostri padri; lo abbiamo fatto noi, quando abbiamo introdotto per primi una forma innovativa di reddito di cittadinanza, politiche inedite di aiuto alle famiglie, strumenti nuovi di sostegno a chi perde il lavoro e di tutela pensionistica integrativa, sistemi peculiari di formazione e di investimento sui cervelli, politiche energetiche e ambientali anticipatrici.
Lo abbiamo fatto quando siamo stati “anomali” rispetto agli schemi nazionali e gli schemi ce li siamo costruiti da noi.

Per questo possiamo chiedere un consenso a testa alta.
Siamo noi la coalizione della responsabilità; della moderazione e dell’equilibrio; del cambiamento.