Il nostro Gruppo Parlamentare votera’ in base alla piena consapevolezza che il futuro del Paese e’ condizionato in modo drammatico dal fallimento di tutti i tentativi di riforma del suo assetto istituzionale e politico.
Si tratta di un fallimento che arriva da lontano e i suoi risvolti finali si sono manifestati con grave evidenza anche nella presente legislatura, che pure su questo terreno aveva identificato il suo principale scopo.
Dobbiamo tornare con la memoria ai primi coraggiosi tentativi di adeguare le nostre fragili istituzioni democratiche compiuti da Aldo Moro e da Roberto Ruffilli.
Essi avvertivano la debolezza formale e sostanziale che corrodeva già dalla fine degli anni settanta le mura portanti della casa comune.
Avvertivano, prima di tutto, che le prospettive di futuro dei singoli e delle componenti sociali del Paese non avrebbero potuto dispiegarsi, nel mondo nuovo che si stava preparando, senza che il vincolo di rappresentanza e di solidarietà tra popolo e istituzioni pubbliche fosse rinnovato e rigenerato.
Per questo il loro tentativo non era ispirato ad aride congetture di ingegneria istituzionale, ma ad una visione profondamente morale e pienamente politica.
Non ci riuscirono e pagarono entrambi con la vita la generosa lungimiranza del loro tentativo.
Da lì in poi, ci siamo confusamente aggrappati alle illusioni che si sono via via  succedute.
Fino all’ultima, quella della cosiddetta Seconda Repubblica, che ancora aleggia col suo portato di semplificazione e di banalizzazione.
Come i babilonesi, abbiano pensato di costruire la torre verso il cielo senza badare alla solidità delle sue fondamenta e senza la trama di un disegno compiuto.
Cosi siamo tornati al punto di partenza.
Del resto, non è un caso che tutti gli osservatori esterni ritengano prevalente per l’Italia il rischio della tenuta politica ed istituzionale rispetto a quello economico e finanziario.
Nessuno può più immaginare che il Paese possa andare avanti come comunità civile e consolidare la sua stessa economia “nonostante” o “a prescindere” dalla buona salute delle istituzioni pubbliche e della politica.
L’interdipendenza tra i sistemi a livello europeo e globale da un lato e lo scollamento che avanza pericolosamente dentro il corpo sociale e tra esso e le istituzioni dall’altra, non permettono più di affidarsi a una simile suggestione.
E’ in questo contesto che siamo chiamati oggi a dichiarare il nostro voto sulla proposta di legge elettorale uscita dalla Commissione.
Ed è questo contesto che ci spinge a dare un voto positivo, nonostante tutto: in modo per così dire “unilaterale”.
Un voto positivo, innanzitutto, nonostante la scelta del Governo di porre la questione di fiducia; una scelta che abbiamo ritenuto inopportuna, forzata e rischiosa da ogni punto di vista.
Un voto positivo, poi, nonostante la nostra non completa condivisione nel merito della proposta.
Non è la legge elettorale che noi riteniamo più utile al Paese.
Non ci convincono il bilanciamento tra maggioritario e proporzionale; i meccanismi che connettono queste due parti del sistema; la inadeguata composizione tra rappresentanza e stabilità dei governi; la bizzarra indicazione del “capo politico” di ogni lista, che ci appare o pleonastica oppure in distonia con la natura parlamentare del nostro sistema democratico.
Non ci convince la scelta delle liste bloccate, benché rispetto al Porcellum esse siano più corte e i candidati più riconoscibili.
Sappiamo bene che il voto di preferenza non è un dogma della democrazia e che si può prestare a forme distorsive.
Ma per sostituirlo con liste bloccate decise dai partiti – senza che ciò appaia una sorta di esproprio della facoltà di scelta da parte degli elettori – occorre un sistema dei partiti regolato sul piano formale e riconosciuto dai cittadini su quello sostanziale.
Purtroppo, il nostro ordinamento giuridico non ha mai adeguatamente disciplinato, sulla scorta di quanto dice l’art 49 della Costituzione, la natura e le garanzie democratiche interne ai partiti
Quanto alla legittimazione sostanziale; al rapporto tra partiti e cittadini; alla evoluzione mancata della loro forma, non occorre aggiungere osservazione alcuna a ciò che emerge dalla realtà di ogni giorno.
Tuttavia, come ho detto, noi ci sentiamo in dovere di far prevalere su tutto la piena consapevolezza degli  effetti devastanti che deriverebbero, nel quadro già cupo delle mancate riforme delle istituzioni, da un ennesimo naufragio della legge elettorale, a pochi mesi ormai dal voto.
Come si sia giunti a tale situazione, con la responsabilità di molti, diventa a questo punto una discussione “altra” rispetto alla responsabilità che il voto di oggi impone.
Se, come auspichiamo, Camera e Senato vorranno mettere un punto fermo – almeno – sul sistema elettorale, anche in base al monito reiterato del Quirinale, si pongono, a nostro avviso, due impegni prioritari.
In primo luogo, accompagnare e sostenere con convinzione e lealtà il Governo Gentiloni nei passaggi determinanti della manovra di Bilancio e degli altri provvedimenti attesi dalla comunità.
In secondo luogo, dare corpo a progetti politici capaci di interpretare al meglio i nuovi strumenti elettorali.
I quali, senza un’anima progettuale e senza coerenti infrastrutture politiche, non potranno certo dare al Paese una prospettiva di futuro.
Già la cappa desolante dei calcoli di parte e la rassegnazione a fotografare semplicemente lo status quo, inducono la pubblica opinione a distaccarsi ancora di più dalle istituzioni.
Lo scenario di un governo di larghe intese – che in tutte le democrazie può essere una delle opzioni difronte ad un eventuale stallo politico delle Camere – non può diventare ne’ un disegno preventivo pur non dichiarato, ne’ un alibi per non ricercare il consenso dei cittadini attorno a piattaforme chiare, di lungo periodo e di respiro anche ideale e valoriale.
Senza questo percorso di rigenerazione della politica e la ripresa di una vera cultura coalizionale – che presuppone disegno comune e rispetto del pluralismo delle culture e delle sensibilità – la stessa eventualità di un governo di larghe intese non sarebbe percepita dai cittadini come una passaggio necessario di responsabilità, ma semplicemente come un deliberato accordo di potere del vecchio sistema e come un puro atto di difesa contro la spinta dei presunti innovatori.
Per queste ragioni, pur con queste riserve e sulla base di queste convinzioni, il nostro Gruppo Parlamentare dichiara il proprio voto positivo alla legge.