Che succede in Catalogna? Qualcosa che ha molto a che vedere anche con noi. Non è solo Barcellona. In tante contrade europee covano istanze di separazione e di indipendenza. Situazioni peculiari, con storie e dinamiche diverse, ma con un unico filo conduttore: la crisi strutturale della “sovranità” statale, messa a dura prova dai cambiamenti del nostro tempo. Stati Nazionali e Partiti di massa erano i capisaldi di questa sovranità. Gli Stati Nazionali garantivano la pace e la sicurezza faticosamente conquistate dopo il dramma delle due grandi guerre.
I grandi Partiti di massa garantivano una democrazia rappresentativa capace di essere anche veicolo di giustizia sociale: un compromesso nobile tra capitalismo, libertà e giustizia attraverso la grande conquista europea dello stato sociale. Oggi crescenti porzioni di popolo dei diversi Paesi Europei avvertono che queste due garanzie sono sempre meno esigibili. Gli Stati Nazionali sembrano faticare a garantire pace e sicurezza. Dai quadranti di crisi sull’uscio di casa, alle insidie del terrorismo che colpisce nel cuore delle città europee, ai processi migratori non governati: neppure in forma “associata” – nel senso di Unione Europea – gli Stati Nazionali hanno saputo essere all’altezza delle attese in questo ultimo periodo. Quanto alla garanzia di una democrazia rappresentativa veicolo anche di giustizia sociale, ciò è risultato vero fino alla globalizzazione ed è stato palesemente smentito dagli effetti della grande crisi iniziata nei primi anni duemila. La disuguaglianza è cresciuta in modo esponenziale e il ceto medio ha subìto processi drammatici di impoverimento. E’ in questo contesto che trovano nuova linfa le tendenze indipendentiste in diverse contrade europee. E temo che siamo solo all’inizio. La risposta non può essere quella messa in campo dal Governo di Madrid. Forza e violenza non possono colmare una palese crisi di consenso e di appartenenza che la Catalogna – pur in forma magari giuridicamente discutibile – ha manifestato con grande partecipazione popolare. L’Europa non può limitarsi a dire che si tratta di un “affare interno alla Spagna”, perché il tema è di capitale importanza per il futuro della democrazia europea. Quale significato dovremo dare al principio di “sovranità” in una situazione che – dal punto di vista economico, culturale, sociale – sta mettendo sempre più in discussione lo Stato Nazionale così come ci è stato consegnato dalla storia europea dell’Otto-Novecento? E quale prospettiva può avere una democrazia rappresentativa priva della valenza di un contratto sociale ispirato al principio della giustizia? Da soli, gli Stati Nazionali non se la caveranno, nonostante le spinte accentratrici e le pulsioni nazionaliste. La loro sovranità è minacciata su due fronti. I processi economici, geopolitici e tecnologici la svuotano dall’alto, poiché si sviluppano su scenari ormai globali. Le istanze identitarie e di “appartenenza” – sempre più forti nell’epoca della globalizzazione – la svuotano dal basso e mettono in discussione la coincidenza tra Stato e Nazione. Il tema è delicato e richiede approfondimenti che purtroppo si fatica a riscontrare sia nella politica che nella riflessione culturale. Pare tuttavia ragionevole che gli Stati Nazionali cedano parte della loro sovranità all’Europa, se non vogliono essere travolti dai processi che arrivano “dall’alto” e ne cedano un’altra parte alle Comunità Autonome Territoriali, se non vogliono che, sulla spinta delle istanze identitarie e della domanda di appartenenza, porzioni sempre maggiori di cittadini si allontanino “dal basso”. L’alternativa è il ritorno forzato ai nazionalismi più o meno autoritari; lo stillicidio delle iniziative separatiste; la morte del sogno europeo; lo svuotamento della democrazia. Uno scenario ben gradito alle forze “post democratiche”, alle quali ormai rischia di rivolgersi una parte crescente del popolo. Rilanciare assieme la prospettiva europeista e quella regionale/autonomista – declinando così in modo diverso, “minimo” potremmo dire, la sovranità dello Stato – sarebbe invece una buona base di partenza per ricostruire una visione solidale, condivisa e partecipata della democrazia. Teniamo presenti questi scenari, mentre a Trento e a Bolzano – sperabilmente assieme – cerchiamo di pensare al futuro della nostra Speciale Autonomia. Di fronte alle sparate come quelle di Enrico Mentana (incredibile che un esponente di spicco della comunicazione si sia espresso così e ancor più che i presenti abbiano applaudito; su ambedue le cose occorre riflettere), smettiamola di rispondere solo che c’è l’Accordo di Parigi o che, però, da noi le cose funzionano: tutto vero e guai non dirlo. Rispondiamo anche che noi – con la nostra Comunità Autonoma – siamo già nel punto da dove l’Europa dovrà ripartire se non vuole tornare pericolosamente indietro. E rispondiamo anche – ma su questo dovremo fare bene i compiti a casa – che noi, attraverso il Terzo Statuto, vogliamo arrivare per primi lì dove l’Europa dovrà arrivare, se vuole costruire ancora scenari di democrazia e se intende vivere la globalizzazione anche con il polmone dello spirito di comunità e di appartenenza, oltre che con quello della competitività e dell’efficenza.