Lectio Magistralis del Presidente emerito Sen. Giorgio Napolitano
– Università Lateranense 18 ottobre 2016 –

L’invito rivoltomi dal Magnifico Rettore a tenere oggi questa lezione mi ha profondamente onorato: perché so come l’autorità e la vocazione dell’Università Lateranense vengano da lontano, nel tempo e nella storia, e quale sia il suo meritato prestigio nell’attuale panorama universitario italiano e internazionale. Inoltre, il tema propostomi per la Lezione mi ha grandemente interessato.

Esso è stato formulato con molta sapienza ; io non avrei certo potuto pretendere di abbracciare nella mia trattazione un soggetto di enorme vastità, come l’intero pontificato di Giovanni Paolo II, incrociatosi, nel lunghissimo arco di 27 anni, con problemi ed eventi quanto mai complessi e cruciali. Non a caso, d’altronde, alla figura e all’esperienza complessive di Giovanni Paolo II sono stati dedicati in questi anni saggi storici di notevole ampiezza e portata, anche in Italia.

Ma con la rigorosa scansione del tema nei termini “L’Europa nel messaggio di Giovanni Paolo II”, mi si è messo maggiormente a mio agio rendendomi possibile il tentativo di dare un contributo corrispondente al mio lungo percorso di riflessione sull’Europa e di partecipazione politica a eventi e processi che hanno attraversato il continente nei passati decenni.

La mia sarà dunque anche una testimonianza personale ; e immagino che a ciò si sia pensato, da parte sua Magnifico Rettore, nel rivolgersi alla mia persona per questa lezione.

Formulando in quei termini il tema, si è in effetti da un lato messa a fuoco una componente fondamentale della missione spirituale e politica di Giovanni Paolo II e del graduale evolversi del suo pensiero e della sua linea d’azione. E si è dall’altro lato suggerita una chiave preziosa per intenderne il senso generale. Perché l’Europa è stato l’autentico teatro del pontificato di Karol Wojtyla, il perno di ogni sua strategia e scelta concreta.

Non vi stupisca, ora, Signore e Signori, che tra i molti importanti interventi pubblici di Giovanni Paolo II, io assuma come punto di partenza il discorso pronunciato nel novembre 1982 da Giovanni Paolo II, nel corso del suo viaggio apostolico in Spagna, a Santiago de Compostela ; perché credo che esso rappresenti in sintesi esemplare e straordinariamente eloquente, l’approccio del Pontefice alla problematica europea. E siamo ancora nella prima fase del suo pontificato.

Innanzitutto l’Europa viene lì presentata “come continente omogeneo e spiritualmente unito”. E si afferma, spiegazione di quel concetto, che essendo “la coscienza dell’Europa nata pellegrinando” si è determinata una “comprensione reciproca di popoli europei tanto diversi, quali erano i latini, i germani, i celti, gli anglosassoni e gli slavi”.

Il primo tassello, dunque, dell’approccio di Papa Wojtyla sta nella straordinaria universalità della sua visione : e insieme nel riallacciare la storia della formazione delle nazioni europee a quella “della loro evangelizzazione”. Senza dimenticare la missione di Cirillo e Metodio, col conforto della Chiesa di Roma, quali evangelizzatori dei popoli slavi.

Di qui il secondo tassello del discorso Wojtyliano, quello delle “radici cristiane dell’Europa”. Ovvero, categoricamente : “l’identità europea è incomprensibile senza il Cristianesimo, proprio in esso si ritrovano quelle radici comuni dalle quali è maturata la civiltà del vecchio continente”.

Questa certezza, questo sicuro ancoraggio non impedisce al Pontefice di mostrarsi consapevole dei “gravi interrogativi sulle sorti del futuro del continente” quali si pongono alla coscienza del nostro tempo. Egli parla dunque – già nel 1982, e sembrano parole d’oggi – dello stato di crisi in cui il continente si dibatte alle soglie del terzo millennio dell’era cristiana. Segue una chiara allusione a un’Europa divisa anche “per le conseguenze di ideologie secolaristiche, dalla negazione di Dio o dalla limitazione della libertà religiosa”.

Le “innaturali fratture” cui egli si riferisce sono evidentemente quelle tra Europa occidentale ed Europa centro-orientale, collocata quest’ultima nel blocco comunista.

Quale prospettiva Giovanni Paolo II fa discendere da questa analisi? Ce lo dice il suo conclusivo magnifico appello all’Europa perché ritrovi sé stessa e ricostruisca la sua unità spirituale. “Europa, riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti”.

Non è un appello ingenuo, non è pura manifestazione di speranza. C’è realismo nella fine intuizione con cui egli invita l’Europa “il continente che ha più contribuito allo sviluppo del mondo ….. a non deprimersi per la perdita quantitativa della sua grandezza nel mondo o per le crisi sociali e culturali che la percorrono”. Questa è infine la prospettiva che il Pontefice indica : “Se l’Europa sarà una, e può esserlo con il dovuto rispetto per tutte le sue differenze, ivi comprese quelle dei diversi sistemi politici ; se l’Europa tornerà a pensare, nella vita sociale, con il vigore che possiedono alcune affermazioni di principio internazionali in materia di diritti, di sicurezza e di cooperazione ; se l’Europa tornerà ad agire, nella vita più propriamente religiosa, con il dovuto riconoscimento e rispetto di Dio, nel quale si fonda ogni diritto e ogni giustizia ; se l’Europa aprirà di nuovo le porte a Cristo e non avrà paura di aprire alla sua salvatrice potestà i confini degli Stati…. il suo futuro non rimarrà dominato dall’incertezza e dal timore”.

In tutto questo discorso, denominato “Atto europeistico a Santiago de Compostela”, si intrecciano in un solo nodo il rinnovamento spirituale, religioso dell’Europa e l’obbiettivo storico del rinnovamento e della piena unità dell’Europa. Si ribadisce il ruolo della Chiesa che “si pone in servizio, come Santa Sede e come Comunità cattolica ….. senza rivendicare posizioni che occupò nel passato e che nell’epoca attuale sono totalmente superate”. Un ruolo già svolto, anche al livello diplomatico, in occasioni come la conferenza di Helsinki e la firma del suo storico Atto Finale.

Non c’è bisogno di sottolineare l’esemplare equilibrio del quadro disegnato da Giovanni Paolo, anche, ad esempio, quando parla, con grande misura, di rispetto per le differenze “dei diversi sistemi politici” nella costruzione dell’Europa una.

Lungo queste linee si svilupperà per oltre due decenni il magistero di Giovanni Paolo II. Il magistero di una Chiesa che, secondo la definizione datane da Andrea Riccardi – nella sua ricca e partecipe biografia di Giovanni Paolo II – scende nell’agone, soprattutto in Europa. Una Chiesa che combatte su diversi fronti, anche sul fronte interno, religioso per il rinnovamento del cristianesimo stesso, alla luce del Concilio Vaticano II, cui Karol Wojtyla partecipa e, divenuto Arcivescovo di Cracovia, dà un contributo significativo.

Certo, si è messo sempre l’accento sulla figura di Karol Wojtyla Papa come grande antagonista del comunismo, suo temibile avversario e infine, nel 1989, presentando Wojtyla quasi come suo principale vincitore nel nostro continente. E in effetti non poteva che esserci reciproca radicale estraneità e ostilità tra quei due mondi. Ma è importante non dimenticare a quale livello si collocò la sfida di Giovanni Paolo II : ad altissimo livello culturale e morale, e anche ad un livello di rara sapienza politica e diplomatica (e su questo aspetto tornerò parlando del rapporto del Pontefice con la sua Polonia).

Tuttavia anche nell’impegno della Chiesa di Wojtyla ad assecondare gli sviluppi della costruzione europea, partecipandovi criticamente, insorsero delle tensioni. In seno alla Convenzione di Bruxelles che – nel 2002-2003 – preparava il progetto di Trattato costituzionale fu sollevata la questione di un netto, esplicito richiamo alle radici cristiane dell’Europa. E ciò corrispondeva alla visione, propria, come abbiamo visto, di Giovanni Paolo II, dell’unità storica e della unità politica potenziale dell’Europa.

Si parlò di aprire il Trattato con una vera e propria Invocazione a Dio, e a me italiano viene sempre in mente a questo proposito la tensione che si produsse negli ultimissimi momenti dell’Assemblea Costituente con la analoga proposta formulata da Giorgio La Pira per la nostra Carta Costituzionale, e al dibattito elevatissimo che vi seguì concludendosi con il ritiro di quella proposta da parte del suo autore.

Nella Convenzione di Bruxelles, come si sa, si manifestò una netta indisponibilità a richiamare le radici cristiane dell’Europa, da parte soprattutto francese (ma non solo francese) ; e non mancarono dubbi anche in ambiti non politici ma religiosi. Ne nacque una grave insoddisfazione e amarezza in Giovanni Paolo II.

Vorrei qui dire a titolo di mia successiva riflessione critica personale, che la sinistra laica, dovunque in Europa, avrebbe potuto anche compiere uno sforzo maggiore e confrontarsi con quella istanza che veniva dalla Chiesa cattolica, ma non si identificava con alcuna accezione confessionale. Si sarebbe forse potuto approvare, non attraverso la formula dell’Invocazione a Dio, ma attraverso formulazioni collocabili nel preambolo del Trattato una definizione sufficientemente comprensiva e obbiettiva.

Mi permetto in questo senso di citare pensieri formulati da Benedetto XVI : “siamo orientati dagli stessi principi dell’umanesimo, cresciuto sul fondamento della fede cristiana”; “il nostro continente, la sua cultura e il suo umanesimo, può essere difeso … solo con il rinnovamento della forza spirituale e morale, nata dalla radice ebreo-cristiana e caratterizzata dai nomi Gerusalemme-Atene-Roma”.

Nel combattere l’ideologia comunista e i regimi comunisti, Giovanni Paolo fu anche critico nei confronti delle disumanità sul piano sociale, e delle involuzioni sul piano dei valori e dei costumi, delle società capitalistiche, delle società democratiche dell’occidente. E ciò rappresentò un rilevante punto di equilibrio nell’esercizio della sua critica e della sua influenza all’interno di un importante paese del blocco comunista, la sua stessa Polonia.

A questo riguardo ci sarebbe da rievocare molte vicende e specificamente molte prove affrontate da Giovanni Paolo II. Questi era stato elevato al soglio pontificio, avendo già trascorso la sua giovinezza all’interno del suo paese, facendo quindi diretta esperienza delle condizioni e delle contraddizioni di un regime comunista, quello polacco, con i singolari alti e bassi che esso ha vissuto a partire dagli anni del più duro stalinismo, in quei primi anni ’50 nei quali emerse come antagonista, e pagò anche il prezzo di odiose vessazioni personali, il primate cardinale Wyszyński, all’ombra del quale si formò e affermò il giovane Karol Wojtyla. Ma ben presto si manifestarono dissensi e travagli in seno al partito che gestiva il potere a Varsavia, finanche embrioni di rivolta contro il regime, cambiamenti al vertice, avvicinamenti parziali e poi di nuovo dure contrapposizioni tra la Chiesa e il potere. Non mancarono in questo tormentato percorso momenti e veri e propri accordi, formalizzati oppure no, di convivenza tra quei due mondi, che facevano addirittura parlare di una “diarchia” tra Chiesa e Stato, tra Chiesa e regime, in Polonia.

Ma vale qui la pena di ragionare un po’ più ampiamente sulle due svolte cruciali che coinvolsero Giovanni Paolo II, rimasto vicino da Papa alla Chiesa polacca con fermezza e insieme grande equilibrio e realismo. Mi riferisco alla svolta della nascita e dello sviluppo, culminato nel 1980, di Solidarnosc non già come emanazione dell’episcopato cattolico, ma come movimento di lotta sociale, espressione di un mondo operaio già entrato a più riprese in conflitto con il regime comunista. Nella sua autonomia Solidarnosc ebbe in misura decisiva il sostegno della Chiesa e godette della simpatia e vicinanza di Giovanni Paolo II.

Parlando poc’anzi di una seconda svolta che scosse e coinvolse il Pontefice mi riferivo a quella segnata dall’avvento del Generale Jaruzelski alla guida del paese e dallo stato di emergenza, dalla legge marziale che questi instaurò il 13 dicembre 1981.

La storia di Solidarnosc rimane uno dei fenomeni più luminosi e significativi della seconda metà del Novecento in Europa. In quel movimento si elaborarono idee e valori di grande rilievo per lo sviluppo complessivo del processo di costruzione europea ; da esso venne un contributo essenziale al superamento dello schema che contrapponeva, a un’Europa occidentale, una Europa centro-orientale. Lo si fece da parte di un grande intellettuale militante come Bronislaw Geremek recuperando e rielaborando il concetto di “Mitteleuropa“. E nel contempo dalle file di Solidarnosc si selezionò una nuova classe dirigente democratica e di forte ispirazione europeistica per la Polonia.

Dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia e del blocco dei regimi comunisti e quindi in preparazione e a coronamento dell’ingresso della Polonia nell’Unione europea, Geremek fu tra gli artefici dell’importante documento conclusivo del Gruppo di riflessione su “La dimensione spirituale e culturale dell’Europa”. Sul piano politico e di governo emerse la sapiente figura di Tadeusz Mazowiecki.

Karol Wojtyla, attentissimo al ruolo che la sua ascesa nella Chiesa polacca gli aveva conferito come punto di riferimento spirituale e morale per la nazione intera, si era mosso con estrema intelligenza e ampiezza di orizzonti. Egli colse tutte le opportunità che nell’ambito dei rapporti col potere via via si presentavano per alleviare le condizioni del suo popolo. Anche se ciò aveva provocato incomprensioni da parte del vertice della Chiesa di Roma anche nei rapporti con il cardinal Wyszyński. Giovanni Paolo II continuò comunque, da Pontefice la sua azione in quel senso.

Ma la forza del magistero di Giovanni Paolo II, Papa polacco, nell’ulteriore confronto, per oltre dieci anni, con il comunismo al potere, va individuata nella forte caratterizzazione del suo netto impegno non solo per il rispetto della libertà religiosa bensì per il rispetto di tutte le libertà civili. Ed essa va al tempo stesso individuata nell’orizzonte in cui egli collocò il sostegno a Solidarnosc e alle sue battaglie, e l’auspicata unità, nella democrazia, di tutta l’Europa : l’orizzonte cioè della distensione tra Est e Ovest, dell’avvio al superamento della guerra fredda.

Per la distensione Giovanni Paolo operò per portare avanti, nel solco di Paolo VI, la Ostpolitik divenuta componente importante della dialettica e dell’evoluzione affermatesi in seno all’Europa comunitaria. E quindi si impegnò a fondo per la valorizzazione dei lavori e dell’Atto Finale di Helsinki a metà degli anni ’70 e oltre. Di quel processo, culminato nella nascita dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza Europea, la Santa Sede in prima persona era stata protagonista essenziale grazie al contributo, di alta scuola diplomatica vaticana, di Agostino Casaroli e Achille Silvestrini.

Il settembre 1980 era iniziato, sull’onda delle travolgenti lotte operaie guidate da Solidarnosc, con l’importante accordo di Danzica e Stettino tra rappresentanti di lavoratori e governo ; accordo che riconosceva il diritto di sciopero e il ruolo dei sindacati destinati ad autogestirsi attraverso libere elezioni e accedendo a adeguati diritti di informazione.

Ma dopo poco più di un anno, la situazione determinatasi in Polonia e sfociata in aperture del regime verso un combattivo movimento operaio e verso Solidarnosc, apparve a Mosca gravemente destabilizzante e pericolosa. E il Generale Jaruzelski ricorse alla decisione stroncatoria dello stato di emergenza. Sappiamo che successivamente tra la complessa e anche intimamente drammatica personalità del Generale-Presidente e Giovanni Paolo II, si sarebbe determinato un dialogo. Lo si racconta, in un contesto ormai mutato, in una intervista di verità, che ancor oggi colpisce, concessa da Jaruzelski a Jas Gawronski e da lui pubblicata quasi a integrazione della sua ampia intervista, piuttosto confidenziale al Papa.

Il Generale ed ex Presidente motivò la sua decisione pur gravissima in rapporto a concrete minacciose avvisaglie di una invasione e occupazione sovietica della Polonia. Essa sarebbe stata cioè una dolorosa reazione, costata moltissimo allo stesso autore di quella decisione adottata tuttavia da “patriota polacco”.

L’imposizione della legge marziale in Polonia provocò peraltro anche una forte scossa politica nella sinistra europea, e segnatamente nel Partito Comunista Italiano. Comprenderete, Signore e Signori, che io dedichi a ciò qui un minimo di attenzione particolare. Perché il partito cui io allora appartenevo aveva sempre più intensamente seguito l’evoluzione della situazione in Polonia, avvicinandosi da ultimo a un’effettiva comprensione della svolta rappresentata dalla nascita di Solidarnosc e sostenendo in seno al movimento internazionale comunista una linea opposta a quella della dirigenza sovietica. Sostenendo cioè per la Polonia la causa della mediazione e del negoziato, del superamento di ogni repressione e intolleranza, del riconoscimento di fondamentali libertà e forme di partecipazione democratica nel paese. Sempre nell’orizzonte della distensione e della cooperazione internazionale.

E tutto ciò certamente non era sfuggito alla massima autorità della Chiesa cattolica e alla sua visione europea e universale. Tanto meno le poté sfuggire l’importantissimo, ampio documento, approvato il 29 dicembre 1981 dalla Direzione del PCI come “riflessione sui fatti di Polonia”. Una riflessione che partì dalla drastica condanna del ricorso alla legge marziale – e dal cordoglio per le vittime dei tragici fatti di sangue verificatisi – ma andò ben al di là di ciò. Per l’analisi che compì, per i principi che affermò, per l’iniziativa politica che espresse. Di quella analisi era parte la denuncia dell’ostacolo frapposto – alle posizioni più aperte emerse nel “Partito operaio unificato polacco” al potere – da persistenti dogmatismi, da posizioni conservatrici, dalle proiezioni di un lungo periodo di pratica burocratica e repressiva.

E di quella analisi era anche parte l’omaggio alla Chiesa cattolica per la sua costante presenza e crescente influenza “nella vita polacca come forza nazionale”.

La conclusione stava, ben oltre i confini della Polonia, in un mai così esplicito rifiuto, da parte del PCI, della “logica dei blocchi” e in un sostanziale passo verso la fuoriuscita del maggior partito comunista dell’occidente dai limiti del movimento comunista internazionale. Il PCI proclamava in effetti il suo intendimento di intrattenere rapporti non solo con gli altri partiti comunisti ma “allo stesso modo con ogni altra forza socialista e progressista, senza legami particolari o privilegiati con nessuno, su basi di assoluta autonomia di pensiero e di azione politica, senza vincoli ideologici, politici od organizzativi”.

Confido che questa non vi sia apparsa una digressione superflua, ma abbia potuto interessarvi in quanto passò anche attraverso le revisioni e i nuovi apporti di forze politiche come il PCI, il cammino dell’Europa verso la sua riunificazione. E vale la pena di far cenno a ulteriori manifestazioni di rispetto e sensibilità per il mondo cattolico e per la Chiesa che il PCI diede nel corso di quegli stessi anni ’80, contribuendo in modo costruttivo e lineare al negoziato per la revisione del Concordato tra Stato e Chiesa in Italia : contributo a quel negoziato che da parte di uno dei suoi più qualificati protagonisti si ritiene essere stato colto positivamente dal Pontefice.

Più in generale eventi di traumatica e larghissima portata storica, in quel decennio, si stavano avvicinando. E avrebbero avuto come primo, determinante, teatro proprio la Polonia. Con l’avvento di Gorbaciov alla guida dell’Unione Sovietica, si vennero aprendo nuovi spazi di articolazione e di autonomia all’interno del blocco comunista ; e proprio in Polonia accadde qualcosa di imprevedibile e singolare.

Si avviarono infatti discussioni e trattative a partire dal 6 febbraio 1989 tra il governo, Solidarnosc pur soppresso per legge, e altri gruppi di opposizione. Si trattò di una Tavola Rotonda che si articolò in tre gruppi, sulla riforma politica, sul pluralismo sindacale e politico, sugli obbiettivi economici e sociali, e le cui conclusioni furono sottoscritte concordemente il 4 aprile. Esse sancirono la convocazione di elezioni parlamentari aperte in modo paritario a tutte le forze che si fossero candidate.

Se posso inserire qui una testimonianza personale, ricorderò che nella mia qualità di dirigente responsabile per la politica estera e per le relazioni internazionali del PCI, ebbi occasione di partecipare a Cracovia a una conferenza sull’Europa indetta dal “Consiglio Polacco di Ricerche sulla Pace” che si aprì il 19 aprile 1989.

Da Cracovia raggiunsi subito dopo Varsavia – all’indomani cioè della conclusione positiva della Tavola Rotonda – per avere incontri, nella sede dell’Ambasciata italiana, con i protagonisti del confronto nelle elezioni parlamentari che si sarebbero tenute il 4 giugno.

Si era dunque in un momento davvero cruciale. Incontrai il segretario effettivo del partito ancora formalmente al potere, Czyrek, con l’esponente di Solidarnosc in quel momento a Varsavia, Kuron, e, nella sede dell’Episcopato con Dabrovski. I colloqui furono per me molto istruttivi. Kuron, leader operaio di Solidarnosc, manifestò la sua ansia e il suo pessimismo per il poco tempo concesso a Solidarnosc per prepararsi alle elezioni. Il segretario comunista tradì la sua assoluta insicurezza prospettando anche l’ipotesi che il suo partito potesse crollare al 10 per cento dei voti. Monsignor Dabrovski formulava previsioni più obbiettive per il possibile esito delle elezioni. Su altri aspetti di contenuto di quei colloqui riferii più largamente in una intervista giornalistica.

Il risultato elettorale segnò una vittoria trionfale di Solidarnosc e il crollo del partito al potere. Il 24 agosto si formò il Governo Mazowiecki. “Spettò così alla Polonia” – ha scritto il Professor Carlo Cardia – “aprire nel 1989 la fase rivoluzionaria che in pochi mesi travolge tutti i regimi dell’Europa orientale”. E’ la mia stessa, personale convinzione. Ho già avuto occasione in altre sedi di sottolineare come il blocco dei regimi comunisti, la divisione dell’Europa tra due blocchi ideologici militari e politici, quel muro che era apparso incrollabile si ruppe non nel novembre del 1989 a Berlino, ma sei mesi prima a Varsavia. E questo va detto in omaggio al popolo polacco, al movimento dei lavoratori guidato da Solidarnosc, alla Chiesa polacca e a Karol Wojtyla nella suprema autorità da lui assunta come Pontefice dal marzo 1978.

In Giovanni Paolo, indissolubilmente legato alla sua patria come dimostrò fino alla fine, l’essere polacco e l’essere europeo si fusero in una sola, eccezionale personalità. Egli batté in lungo e in largo l’Europa (oltre 50 viaggi compiuti nel nostro continente), portando avanti nel tempo stesso quell’apertura verso altre realtà, verso il Sud del mondo, che si sarebbe manifestata con continuità nel magistero dei suoi successori, e oggi in termini di autentica compenetrazione, nel quotidiano vigoroso messaggio di Papa Francesco.

Non c’è dubbio che Giovanni Paolo II concentrò il suo impegno nel farsi alfiere coerente e combattivo di un processo di trasformazione della Polonia e dell’Europa : lo fece con una forza che concorse a determinare gli eventi sapendo osservare e mantener fermo e far valere il suo realismo, e al tempo stesso preservando il distacco che era proprio del suo ruolo rispetto al mondo della lotta politica.

Si pensi al rigore e al senso della realtà con cui ancora si espresse il Pontefice alla vigilia di sconvolgenti mutamenti, pronunciando un discorso al Parlamento di Strasburgo l’11 ottobre 1988. “Il mio voto è che l’Europa, dandosi sovranamente libere istituzioni, possa un giorno estendersi alle dimensioni che le sono state date dalla geografia e più ancora dalla storia”.

Negli anni successivi, per un periodo notevolmente lungo, la Polonia ha conosciuto un corso virtuoso nella sua vita politica e istituzionale, nella gestione di governo, nel prevalente orientamento della sua opinione pubblica, nelle sue relazioni con l’Europa e con le sfide che essa ha dovuto affrontare.

Nel discorso già da me più volte citato a Santiago de Compostela Giovanni Paolo II si era così presentato con mirabile, appassionata definizione di se e della Polonia : “io, Giovanni Paolo, figlio della Nazione polacca, che si è sempre considerata europea, per le sue origini, tradizioni, cultura e rapporti vitali, slava tra i latini e latina tra gli slavi”. Vorremmo che in questa visione si riconoscesse ancora la Polonia tutta, che le sue storiche, strutturali e ideali fratture interne, non portassero mai a un allontanamento del paese da quella visione.

Certo non tutto è sfociato, con il grande cambiamento e rimescolamento del 1989, in soluzioni armoniose o univoche. Al contrario. Ho già rievocato le parole premonitrici del Pontefice nel discorso del 1982 sulla crisi che fermentava in Europa e la metteva a rischio. Ebbene, dopo lo storico ’89, Giovanni Paolo II parlando nell’aula del Sinodo, il 31 ottobre 1991, così si espresse : “Oggi si presenta una nuova Europa, liberata dalle oppressioni ideologiche, ma che affronta molte difficoltà ed è minacciata da tutto quello che le nostre società hanno di meno umano. Occorrerà discernere meglio i fondamenti culturali di questo rinascimento. Gli interventi politici ed economici, per quanto necessari, non sono sufficienti a guarire l’Europeo ferito, culturalmente reso più fragile e indifeso”.

E con queste parole che desidero concludere perché ci danno il segno della grandezza di quel polacco europeo, di quell’uomo di fede aperto al futuro, di quel Pontefice indimenticabile. Il cui messaggio può ancora dire e dare molto all’Europa.