Se posso suggerire una riflessione senza che venga equivocata come critica, mi pare che occorra una particolare attenzione attorno al futuro degli istituiti umanistici della Fondazione Bruno Kessler.
L’Istituto Storico Italo Germanico e l’Istituto di Scienze Religiose, fin dalla loro istituzione nel 1973 e nel 1975, hanno interpretato una delle intuizioni del Fondatore.
Al Trentino – che attraverso il Secondo Statuto stava lavorando a rafforzare non solo la sua economia e il suo tessuto sociale, ma anche la sua identità di Comunità Autonoma – serviva una infrastruttura culturale robusta e plurale.
La costituzione dell’Irst – nel 1976 – ha completato il panorama dei principali pilastri della strategia dell’allora Itc, visto naturalmente in sinergia con l’Ateneo, con il sistema scolastico e con la rete dei Musei e delle altre istituzioni culturali.
Consapevolezza storica, respiro umanistico e apertura alle nuove tecnologie: era questo il fondamentale bagaglio di viaggio per un Trentino che aveva imboccato la via della modernizzazione e del superamento della sua marginalità. In questo senso, il ruolo del centro di scienze religiose è stato essenziale: dalla rilettura di una delle pagine più importanti della nostra storia come il Concilio fino alla discussione ecumenica e inter religiosa, che ha rafforzato e qualificato la nostra vocazione di terra capace di conciliare vecchie e nuove antinomie per tracciare strade di dialogo e di pacificazione.
A me pare che con l’Europa in preda ad una drammatica crisi di identità e in un contesto storico che ogni giorno ci pone la centralità della «questione religiosa», questa pista e questa nostra vocazione debbano essere ancora a lungo custodite e alimentate come una preziosa opportunità. In particolare, apprendo con un po’ di preoccupazione che FBK non si occuperà più del Corso Superiore di Scienze Religiose. Esso, fin dalla fine degli anni 80, aveva come obiettivo la formazione degli insegnanti di religione nelle scuole a carattere statale della Provincia, in convenzione con le autorità ecclesiastiche locali e nazionali.
In una Italia ancora sottoposta all’obbligo di chiusura delle Facoltà di Teologia nelle Università Statali stabilito nel lontanissimo 1873, questa esperienza trentina rappresentava una peculiare e positiva anomalia, dalla quale in passato qualcuno era anche partito per ipotizzare – purtroppo invano – assetti accademici più ambiziosi dello studio teologico.
I tempi non erano ancora maturi per una sorta di Facoltà di Teologia a Trento. Ma a maggior ragione, pensando in una prospettiva di lungo periodo, non pare prudente e lungimirante disarticolare questa esperienza.
Non so se i problemi di budget o i nuovi orientamenti giuridici derivanti dal cosiddetto «processo di Bologna» fossero veramente insormontabili. Non lo credo. In ogni caso mi permetto – come ripeto senza alcuna critica a nessuno – di esprimere l’auspicio che della questione specifica, ma anche di quella più generale degli studi religiosi a Trento, si possa tornare a parlare in coerenza con la nostra peculiare anomalia e ispirati più al modello tedesco e mitteleuropeo che a quello romano.