Ringrazio Giuseppe De Mita per l’invito.
Contrariamente a Giuseppe, io alla Camera ho votato a favore della Riforma.
E dunque – almeno per un minimo di coerenza – non posso certo sostenere il No al Referendum.
Ma al di là di questo, apprezzo l’approccio che si è voluto dare a questo incontro: una discussione sincera e libera da pregiudizi su questo passaggio importante per il Paese.
In particolare ho apprezzato il messaggio che mi pare di aver colto nell’intervento appena svolto dal Presidente Ciriaco De Mita: si può anche dire che si tratta di un inizio – ha detto in sostanza – a condizione che ci sia l’impegno a modificare in futuro alcuni punti e sopratutto a riflettere in modo nuovo sulla legge elettorale.
Certo, sappiamo bene che non siamo nella condizione nella quale erano i Padri Costituenti nel secondo dopoguerra; non è quello il clima, non è quello il profilo.
Prima, il sen. Quagliariello ha ricordato che Degasperi non avrebbe mai fatto approvare una Costituzione “contro” Togliatti. Puo’ essere vero. Ma è peraltro anche vero che Togliatti all’epoca non si è sfilato dalla Costituente per motivi di bottega, come invece è accaduto in questa Legislatura. E nessuno può sapere cosa avrebbe fatto Degasperi se questo fosse avvenuto.
In ogni caso, questo è il tempo che ci è dato: come insegnava Aldo Moro, non è possibile saltare il tempo che ci è dato, con tutte le sue contraddizioni.
Provo a proporre due riflessioni.
La prima è sui contenuti della Riforma.
È evidente che essa non è il frutto di una stagione “costituente”.
È piuttosto il frutto del lento degrado delle istituzioni, iniziato almeno negli anni 70; delle emergenze che si sono sedimentate; delle involuzioni di questa travagliata legislatura, durante la quale sono cambiate maggioranze e protagonisti, senza che si potesse contare fin dall’inizio su un equilibrio politico connesso con una vittoria elettorale.
Essa è anche frutto di un clima culturale e sociale che in tutta Europa sta mettendo a dura prova la tenuta delle forme consolidate della democrazia rappresentativa e che fa emergere tutto e il suo contrario: verticalizzazione e radicamento; democrazia del leader e partecipazione; semplificazione e conservazione delle antiche consuetudini; diritti individuali esasperati e insieme domanda di protezione collettiva.
Tutto ciò ha ovviamente inciso sulla qualità e sulla coerenza del testo della Riforma.
Nei suoi contenuti, essa può essere certamente – come molti hanno detto oggi – mal confezionata se non confusa: di certo non è eversiva.
Per questa ragione, anziché buttare alle ortiche in toto il lavoro del Parlamento, ritengo sia molto meglio elaborare fin da subito una piattaforma politico-istituzionale capace di raffigurare una sorta di percorso di attuazione/correzione della Riforma.
I capitoli di questa piattaforma potrebbero essere in particolare i seguenti: modalità di elezione dei Senatori in rapporto con le Regioni; ricostruzione di un regionalismo forte e responsabile, oltre gli effetti del suo sostanziale fallimento (non solo per colpa delle Regioni stesse) e definizione di un sistema di governo democratico dei territori intermedi, rivalutando il valore della “comunità”; disciplina dei referendum popolari e degli strumenti di partecipazione dei corpi intermedi; modifica dei Regolamenti Parlamentari per rafforzare il ruolo dell’opposizione e concorrere a dare efficienza al processo legislativo – indubbiamente complesso – definito nella Riforma.
Questa piattaforma potrebbe essere di interesse sia per chi – come me – intende votare SÌ, sia per chi intende votare NO pur sapendo che una riforma e’ comunque necessaria.
La seconda riflessione e’ sul contesto politico ed in particolare sui doveri dei cattolici democratici, che nella storia del nostro Paese hanno sempre percepito una specifica vocazione alla qualità della democrazia e alla riforma progressiva delle sue istituzioni.
Vorrei ricordare un passo di Nino Andreatta, che non 1988 sosteneva:
” Oggi l’esperienza che di politica si può morire, che fu degli anni settanta e le esperienze degli anni ottanta del disgusto della gente e perciò della delegittimazione della politica e della inutilità del comando politico, mi sembra riaffermino il problema delle istituzioni politiche come problema che la nostra Costituzione non ha risolto. Essa, in quel bellissimo prologo sulle libertà dei moderni, ha affrontato il problema della libertà, ma non ha affrontato il problema del meccanismo del potere e del governo della società.” (Convegno Istituto A. Degasperi, Bologna, 11/12 marzo 1988).
Il 1988 fu l’anno dell’assassinio di Roberto Ruffilli.
E sappiamo bene quale fu l’involuzione della storia politica italiana negli anni successivi.
Per questo, pur comprendendo molto bene le critiche sentite stamane da parte degli esperti tecnici e pur non negando la fondatezza di alcune delle ragioni che potrebbero spingere al NO, mi permetto di richiamare la storia del nostro Paese e di osservare che dopo il naufragio di una azione riformatrice così travagliata e complessa non arriva una riforma migliore, ma una restaurazione.
Una restaurazione che può assumere i volti più diversi: un grillismo che si consolida come democrazia qualunquista; un presidenzialismo tendenzialmente autoritario, che cova mal sopito nelle ceneri della destra; un governo dei Benpensanti contro i Barbari alle porte, cosa che peraltro sarebbe benzina sul fuoco delle forze anti sistema, in una fase così critica di distacco tra comunità e istituzioni.
La mia opinione è che è meglio avere rimorsi per aver agito, piuttosto che rimpianti per aver esitato.
Ripeto il mio apprezzamento per l’approccio dell’incontro di oggi, al di là delle diverse posizioni.
Condividiamo che la campagna referendaria non deve essere una sorta di arma impropria.
Del resto, la Riforma non è né l’alba di una nuova età dell’oro, né la morte della nostra democrazia.
È un tentativo, con le sue luci e le sue ombre, per dare risposta ad una esigenza di adeguamento delle istituzioni che ci deriva dalla storia decennale del Paese e che ora va anche raccordata con i radicali mutamenti sociali del nostro tempo.
La Riforma non segna neppure uno spartiacque per possibili future comuni appartenenze politiche; ha fatto bene prima Giuseppe De Mita ad affermarlo.
Concordo: purché però al richiamo verso le antiche comuni radici corrisponda una comune visione politica per il futuro.
Perché, invece, lo spartiacque e’ dato dai valori e dal progetto politico di prospettiva.
Forse noi scarichiamo sulla Riforma un problema che sta almeno in parte altrove: sta nel venir meno di un tessuto di cultura politica e di senso della comunità.
Ciò vale anche per la Riforma Elettorale: io sono stato l’ultimo in maggioranza ad accettare l’Italicum, che non mi ha mai convinto.
Ma osservo che, se il premio di maggioranza dato ad una lista e’ un furto di democrazia, perché altera in modo esagerato il rapporto tra voti e seggi, non basta un semplice ritocco per spostare il premio da una lista ad una coalizione. Spartirsi il bottino non legalizza il furto, se furto e’.
Dunque, anche nel caso della legge elettorale, bene sarebbe – se si ritiene – avanzare una proposta di modifica più ambiziosa e di sistema.
Non riusciremo in ogni caso a individuare un percorso adeguato per ricostruire buona politica se non affrontiamo le questioni connesse con la crisi della rappresentanza e della forma partito e se non prendiamo coscienza della estrema fragilità delle attuali infrastrutture politiche.
Forse, appunto, sarebbe meglio partire da qui.
Grazie.