Il decreto con il quale il Governo ha riorganizzato il settore del credito cooperativo sta suscitando un dibattito acceso e partecipato. In sede di conversione parlamentare del decreto non sono mancate modifiche anche significative. Mi pare giusto richiamare le motivazioni che hanno spinto la delegazione parlamentare trentina di maggioranza – sempre in contatto con la Presidenza della Provincia e con gli organi dirigenti del movimento cooperativo – a muoversi pressantemente e decisamente per alcune di queste modifiche.

Innanzitutto vi era una questione di carattere generale, potremmo dire «ideale ed etica». Proveniendo da una terra di forti valori cooperativi, non potevamo accettare – neppure in forza di vincoli di maggioranza – di sostenere quelle parti del decreto che prevedevano la «privatizzazione» del patrimonio delle grandi BCC intenzionate a trasformarsi in Società per Azioni.

Il compromesso raggiunto (sostanzialmente il modello fondazioni, con il patrimonio che rimane in capo alla cooperativa e resta non divisibile) potrà non suscitare entusiasmo – certo non lo suscita da parte mia – ma salva almeno un principio ed evita un pericoloso precedente per altri settori della cooperazione già oggi a forte rischio di perdita dei valori mutualistici.

In secondo luogo, abbiamo seguito un principio: il giusto e doveroso rafforzamento del sistema (obiettivo del decreto) non può travolgere alcuni valori costituzionali quali la libertà d’impresa e il ruolo riservato alla cooperazione come forma sociale di impresa.

Questi valori vanno però resi compatibili con un altro principio altrettanto forte: quello della tutela del risparmio, alla luce dei nuovi scenari globali e dei nuovi rischi.

Bene dunque l’idea di affiancare la rete delle BCC con lo strumento del gruppo bancario cooperativo, con il ruolo di renderne più forte e più garantita l’attività.

In sostanza, l’obiettivo è quello di costruire a livello nazionale ciò che da anni, con Cassa Centrale Banca, in modo lungimirante, si è fatto in Trentino.

Ma la Legge non può invadere totalmente l’ambito della libertà di impresa cooperativa. Può e deve fissare criteri, soglie e paletti; ma essi devono avere una loro ragionevolezza, altrimenti introducono una arbitraria pressione in dinamiche interne alla sfera dell’impresa. In altre parole: la Legge non può stabilire che in Italia deve esserci un solo gruppo bancario cooperativo. Può invece stabilire (come in effetti stabilisce) che i gruppi devono avere – per esempio – un miliardo di patrimonio netto. Se questa soglia fosse irragionevolmente bassa, l’obiettivo della Legge sarebbe vanificato. Se fosse irragionevolmente alta (per esempio se si stabilisse – come alcuni ambienti di Federcasse avrebbero voluto – il limite di un miliardo di solo capitale) si otterrebbe un obbligo di fatto di adesione forzata ad un gruppo unico, svuotando di ogni significato la libertà di impresa e mortificando la salutare dialettica interna al movimento tra possibili diverse soluzioni industriali e organizzative. Gli emendamenti che abbiamo perseguito per la specifica situazione del credito cooperativo della nostra regione, dunque, non sono stati frutto di attenzione solo «domestica»: sono coerenti con questa filosofia generale. In particolare, il nostro obiettivo è stato quello di garantire nella Legge il massimo possibile di opzioni.

Ce ne sono almeno tre, ognuna con luci e ombre, opportunità e rischi.

La prima. Seguire il modello Bolzano (casse rurali con gruppo bancario autonomo ma operanti solo entro il territorio provinciale). Per questo abbiamo voluto che la deroga fosse prevista sia per Bolzano sia per Trento, in uguale maniera.

La seconda. Negoziare l’adesione al previsto gruppo bancario cooperativo nazionale, verificando le condizioni per valorizzare il sistema Trentino in tutte le sue componenti finanziarie e industriali e mantenendo alcuni ambiti di autonomia. Per questo – in aggiunta alle clausole di rapporto tra gruppo e singole BCC già opportunamente ottenute da via Segantini nell’ambito del progetto di autoriforma del sistema in Federcasse – abbiamo voluto che fosse inserita la previsione di «sottogruppi territoriali».

La terza. Verificare se sia fattibile adesso e sostenibile nel lungo periodo l’ipotesi di organizzare attorno a Cassa Centrale Banca una delle società capogruppo di rilievo nazionale. Per questo, ci siamo opposti al tentativo di fissare – come prima sostenevo – una soglia irragionevolmente alta per la costituzione di tale tipologia di società. Leggendo bene il decreto, per la verità, ci sarebbero forse anche altre possibilità, ma mi limito alle principali.

Come dicevo, non spetta alla politica indicare quali soluzioni imprenditoriali siano le migliori e tanto meno decidere in questo senso. Ciò è compito del movimento cooperativo nella sua responsabile autonomia e con il pensiero alle nuove generazioni e al Trentino dei prossimi decenni. Spetta invece alla politica e al legislatore approvare Leggi che definiscano obiettivi, garantiscano standard e prevedano strumenti senza forzature e senza furbizie.

In parte – tenendo conto del punto di partenza e dell’aria che tira in tutta Europa nei confronti dell’idea mutualistica e cooperativa – forse ci siamo riusciti. Oppure, almeno, diciamo che poteva andare molto peggio.