Tre cose, a mio parere.
Primo. Un Renzi premier che – come era chiaro fin dall’inizio, almeno a me – non ha firmato nuovi accordi ne politici ne istituzionali in tema di autonomia, ma ha riconfermato la propria attenzione e il proprio impegno in due direzioni: approvazione di importanti Norme di Attuazione e impostazione consensuale delle procedure di adeguamento dello Statuto al nuovo Titolo V della Costituzione. Di questi tempi, con il vento insidioso del centralismo che tira forte, non è tutto, ma non è neppure poco.
Secondo. Un Renzi, narratore dell’Italia “che si ridesta”, che ci esorta a essere consapevoli della nostra forza e delle nostre qualità. Bastiamo noi trentini, spesso, a dipingerci peggio di quanto siamo: bene che qualcuno da fuori ci dipinga per quel che possiamo continuare ad essere o diventare, anche a servizio di tutto il nostro Paese. Le celle ipogee in Val di Non ( oggi per le mele e domani per la conservazione e la gestione di archivi digitali ), la Fondazione Bruno Kessler, il Mart: tre esempi, apprezzati nella visita di ieri, di un Trentino lungimirante, che non si guarda l’ombelico.
Terzo. Un Renzi politico, che ha colto un punto fondamentale: senza una nuova infrastruttura politica, nessuna legge elettorale, da sola, potrà mai garantire alcunché. Se il segretario nazionale del PD ha parlato della necessità di un grande “cantiere del centro sinistra italiano” non lo ha fatto certo a caso. Un cantiere non si apre se l’edificio che già esiste non richiede modifiche.
Noi, un Cantiere Civico Democratico l’abbiamo aperto, senza nessuna presunzione – anzi – ma anche consapevoli che le stagioni migliori la politica trentina le ha vissute quando ha saputo inventare piuttosto che limitarsi ad importare i modelli.