Vorrei cogliere innanzitutto il senso di un positivo paradosso.
Più la politica diventa pragmatismo, così forte negli ultimi tempi di crisi globale e prima ancora di caduta delle ideologie, più torna la voglia di ricordare grandi personaggi del nostro passato.
Oggi parliamo di un grande, Giorgio La Pira. Ma la stessa cosa possiamo dire di Alcide Degasperi. Ci sono stati decenni di oblio, mentre da qualche tempo non solo gli storici e gli addetti ai lavori, ma in generale la pubblica opinione si sta interessando di loro.
Siamo forse alla ricerca di ricette specifiche per risolvere i problemi? No di certo: troppo diverso il mondo e troppo mutate le situazioni da ogni punto di vista.
Allora perché? Credo che la risposta sia in un crescente bisogno di riferimenti non effimeri. Più si naviga a vista, più c’è necessità di un ” senso ” non di breve momento.
Ci misuriamo con mutamenti radicali e repentini, a livello globale e nazionale, che stanno cambiando i connotati sella nostra società.
Dismesse le vecchie ideologie dell’otto e novecento, avvertiamo che la pregnanza dei cambiamenti rende non adeguate le risposte più gettonate, dalle quali spesso pure ci si lasciamo conquistare, ma senza vera convinzione, quasi con rassegnazione: la risposta populista e quella tecnocratica.
Avvertiamo in realtà il bisogno di valori e di ideali e comprendiamo che la politica non può essere solo potere o semplice organizzazione degli interessi più avvertiti e immediati.
Senza cultura politica non c’è politica e senza politica non si tiene assieme una vera comunità: questo è a mio avviso il senso della memoria di La Pira.
Ciò chiama in causa in modo particolare il cattolicesimo democratico, non come questione di fede ma come portato di una tradizione di laici cattolici italiani impegnati per il bene comune.
Certo, molti politici con ruoli oggi rilevanti vengono da questa cultura. Ma sembra quasi che si tratti di un fatto privato, non produttivo di visione e di cultura politica collettiva.
Eppure, ci sarebbe grande necessità di una visione politica ispirata ai valori del cattolicesimo democratico.
Vorrei richiamare almeno cinque emergenze democratiche difronte alle quali dal ricordo di La Pira nasce un impegno preciso.
Primo: una democrazia solidaristica. Egli pensava alle attese della povera gente: oggi cresce la disuguaglianza, si allarga il sapore delle periferie, si richiede una vera lotta contro la povertà’. Per la prima volta nel nostro tempo molti cittadini pensano che democrazia e benessere diffuso non siano più due dimensioni necessariamente connesse.
Secondo: una democrazia partecipata. Mi sta a cuore, diceva un’altro grande toscano. Il contrario di una idea fredda e cinica. Ma anche il contrario di una visione che considera il popolo come astratta opinione pubblica destinata a consumare e non a produrre politica; opinione pubblica spettatrice e al massimo tifosa di leadership sempre più mediatizzate.
Terzo: una democrazia comunitaria. I legami sociali sono sempre più fragili, così addirittura quelli interpersonali. Molte delle realtà tradizionalmente aggreganti sono in radicale crisi, e’ vero. Ma la risposta non può essere fondata sul rapporto diretto ed esclusivo tra il potere e gli interessi dell’individuo nella sua solitudine. È fondamentale ricostruire una idea comunitaria e non individualista della democrazia.
Quarto: una democrazia policentica. Nel tempo della verticalizzazione del potere e delle responsabilità, occorre ricostruire una idea di democrazia fondata sull’Autonomia aperta e responsabile delle comunità territoriali. Per La Pira la città e’ il domicilio organico delle persone, non il semplice insieme di servizi, di interessi, di strutture fisiche. Ogni città e ogni territorio hanno una vocazione irripetibile e specifica, come ogni persona. Oggi sembrano prevalere le reti lunghe, ne conosciamo la portata e per certi aspetti le opportunità. Ma se perdiamo il senso delle reti corte finiremo con il costruire una società sempre meno a misura di persona.
Quinto: una democrazia costruttrice di pace. Sento la notizia di un nuovo raduno a Firenze dei sindaci delle principali città del Mondo, per ricordare la straordinaria iniziativa promossa da La Pira. Oggi non siamo più di fronte allo scenario di guerra tra regimi comunisti e Occidente. Ma altri conflitti si consumano ogni giorno e determinano un intreccio spesso contorto di questioni politiche, militari, religiose ed economiche, con il corollario drammatico di un crescente deficit nel rispetto dei diritti umani in una parte enorme dei paese del globo. Il pensiero esigente e la profezia di La Pira tornano alla mente come segni dei tempi, segni di speranza e di non rassegnazione. Tornano anche per la nostra idea appannata di Europa. Una Europa chiamata a giocare con apertura e lungimiranza sia al proprio interno sia nelle relazioni con le aree geopolitiche a est e a sud. Le notizie dall’Ucraina e quelle dal Mediterraneo – oggetto specifico di questo incontro – stanno a dirci che il recupero di questa visione lapiriana e’ urgente e indifferibile.
Ecco, ho voluto proporre almeno cinque motivi validi, a mio avviso, per ricordare La Pira come punto di riferimento. Ma occorre evitare che il ricordo, pur doveroso, diventi nostalgia. Per ciò, occorre che si traduca in voglia di riprendere, con gli strumenti e i linguaggi del nostro tempo, il filo sottile che ancora segna una cultura politica che certo può e deve evolvere ma non deve inaridirsi e scomparire.

INTERVENTO A AREZZO 11 OTTOBRE 2014 PER L’ASSOCIAZIONE ” VERSO L’EUROPA ”