Signor Presidente del Consiglio,

dagli interventi dei colleghi De Mita, Piepoli e Fucsia Nissoli avrà già colto due elementi chiari. Il primo: il nostro gruppo esprimerà un voto di fiducia al suo Governo, come è già accaduto  in Senato. Il secondo: noi non ci adeguiamo ad atteggiamenti conformistici.

Siamo ben consapevoli che, dopo la brusca interruzione del Governo presieduto dall’onorevole Letta –  visto che è in Aula colgo l’occasione per salutarlo e ringraziarlo a nome del nostro grupposarebbe disastroso per il nostro Paese che il Suo Governo non ricevesse la fiducia, ovvero subisse una sconfitta, che non sarebbe certo solo riferita alla sua persona.
Nel contempo, però, non intendiamo rinunciare a dire con lealtà, ma con sincerità, le nostre libere convinzioni anche magari talvolta fuori dal coro, del quale peraltro le suggeriamo di verificare la sincerità.
Se fossimo in tempi normali prevarrebbero forse da parte nostra dubbi e perplessità sul metodo con il quale si è aperta la crisi di Governo e sulla rapida archiviazione di quella idea di contratto di governo alla tedesca, che qualche forza politica pretendeva da un Governo destinato a durare pochi mesi, ma ora non chiede curiosamente più a un Governo che si pone l’orizzonte della legislatura.
Tra l’altro noi abbiamo fornito – prima al Presidente Letta, poi a Lei – le nostre priorità da questo punto di vista. Ne voglio ricordare solo una: il tema della famiglia. Siamo l’unico Paese d’Europa che non l’ha affrontato seriamente e ci auguriamo di vedere questo tema sviluppato negli atti del Governo da lei presieduto.
Dubbi e perplessità di fronte alla cancellazione di un Ministero importante, soprattutto in questo momento, come quello delle politiche comunitarie: noi pensiamo che si torni indietro trasformando le politiche comunitarie in un settore di attività del Ministero degli Esteri.
Dubbi e perplessità anche di fronte alla composizione del Governo, con promozioni ed esclusioni che riguardano da vicino anche il nostro gruppo parlamentare, delle quali peraltro non ci sfugge il senso politico.

Ebbene, però noi non siamo in un tempo normale.

Avvertiamo gli effetti drammatici di un lungo periodo di stagnazione del nostro Paese, che è oggi come una pentola a pressione, dalla quale il vapore cerca disperatamente di uscire, cogliendo ogni pertugio sotto forma di rabbia, di rassegnazione, ma anche di speranza .

Ma attenzione: cosa c’è all’origine di questa stagnazione? Certo, la mancanza di decisioni rapide, la paralisi di molta parte della pubblica amministrazione, l’inefficienza, l’irresponsabilità sedimentata in molti ambiti della vita collettiva; certo la pervicace resistenza dei reticoli corporativi e individualistici; certo ancora la percezione del tempo come variabile indipendente rispetto invece ad una società in rapida evoluzione.
Tutto questo è drammaticamente vero. Tuttavia, la stagnazione del nostro sistema è stata  anche e soprattutto conseguenza di un deficit di qualità e di spessore culturale della politica. Proprio mentre il Paese si avvicinava a cambiamenti epocali, la politica ha rinunciato alla sua funzione di guida e direi anche di pedagogia sociale e si è dissociata dalla sua cultura e dai suoi valori. In questi due decenni la politica si è personalizzata, banalizzata, semplificata fino al punto di parlare per slogan; si è arresa ad un rapporto solo mediatico con i cittadini; ha abdicato rispetto ai doveri di autonomia e di libertà verso i nuovi veri centri del potere.

È su questo terreno, signor Presidente, che serve una vera e radicale discontinuità.
Una discontinuità che si può palesare nei simboli, nei gesti, perfino negli stili, ma che deve però dimostrare di essere tale nei principi, nei valori e in una vita politica nuovamente sorretta da intrinseca robustezza di valori e da autentica autorevolezza di pensiero.
È questo l’ingrediente principale che può aiutare il nostro Paese a riaccendere i motori e a scommettere, come Lei ha detto, sui suoi molti talenti.

È  lo sforzo di tornare a questa idea della politica e delle istituzioni che può legittimare anche lo stimolo al cambiamento ed al recupero di responsabilità che spetta a tutti gli italiani. Ai molti fallimenti della politica, fa riscontro infatti l’inadeguatezza di parti importanti della società italiana, ad iniziare dalle strutture del suo capitalismo, che – a differenza di quanto accaduto nel resto d’ Europa –  non ha usato le risorse dei tempi buoni per riorganizzarsi, qualificarsi, internazionalizzarsi, ma, in molti casi, ha preferito baloccarsi in spericolate operazioni di potere, ricercando successi nei settori protetti e al riparo dalla concorrenza, oppure ritirandosi con il bottino da settori strategici ma difficili, come accaduto di recente nel caso di Telecom Italia, mentre, per fortuna migliaia di piccole imprese nei vari comparti tenevano duro seppure in condizioni sempre più drammatiche.
Non ci sono riforme strategiche senza buona politica e non c’è buona politica senza una capacità di condivisione e di partecipazione dei cittadini, dei corpi intermedi e delle comunità territoriali attorno a valori e visioni di futuro che non siano solamente gli interessi immediati e  men  che meno quelli oggi più tutelati.

La velocità oggi è necessaria anche in politica, è vero e l’irrompere dello stile legato alla Sua persona nei riti e nei ritmi di queste nostre istituzioni parlamentari costituisce una rottura che era da tempo nell’aria e che può certamente imporre a tutti cambiamenti e nuovo dinamismo.

Tuttavia, non è affatto inutile, mentre si corre, sapere anche verso dove si va.

E  l’orizzonte verso il quale andare non può che essere frutto di una intelligenza collettiva, maturata mediante la riproposizione di uno spirito di comunità, senza il quale ogni riforma sarà percepita come minacciosa, ogni speranza si infrangerà nella delusione, ogni novità degraderà nel «nuovismo» di maniera.
La gente chiede velocità e lentezza nello stesso tempo.

Chiede velocità perché stanca dei riti vuoti, delle decisioni non prese, dello scaricabarile, di una gigantesca rete di norme e di apparati che sta affossando tutto e tutti senza peraltro garantire trasparenza e legalità. La gente chiede però anche lentezza quando esprime il rifiuto degli annunci che seguono gli annunci; delle riforme evocate e mai praticate; quando, insomma, dimostra di avvertire, ed è un bene, gli scricchiolii dei modelli culturali, frenetici ma vuoti di senso, che hanno dominato l’opinione pubblica in questi venti anni, modellando intorno ad essi anche la stessa domanda politica.
L’opera che attende Lei, il suo Governo e tutti noi, signor Presidente, è dunque molto più difficile e complessa rispetto al pur doveroso sforzo annunciato per semplificare e rendere razionale il sistema. Abbiamo di fronte, piuttosto, un’opera di ricostruzione del Paese nei suoi aspetti materiali e non materiali, economici, ma anche civili e sociali:  la potremo compiere soltanto recuperando, appunto, il senso della politica, il valore delle istituzioni rappresentative e lo spirito di comunità.
Signor Presidente del Consiglio, ieri ha affermato che il suo Governo ha natura di Governo politico. Ciò non deriva certo dal solo fatto che vi figurino i segretari di alcuni partiti della maggioranza; deriva semmai dalla scommessa politica che lo motiva e dalla volontà politica che lo sostiene.
Ma un Governo politico ha una e una sola maggioranza e risponde ad un solo patto politico: quello sottoscritto dai partiti che lo formano. Ciò vale per il programma economico e sociale ma vale, per noi, anche per i temi delle riforme istituzionali ed elettorali. Certo che le grandi riforme è bene vengano approvate da una maggioranza più ampia di quella di Governo, ma non possono essere approvate da una maggioranza alternativa.

Colgo l’occasione per ribadire che il nostro gruppo non condivide affatto la proposta di legge elettorale in discussione. Noi riteniamo di doverci impegnare per alcune significative modifiche .

Consideriamo totalmente squilibrato il rapporto tra i voti reali dei cittadini e i seggi che deriverebbero  dal premio di maggioranza come ipotizzato: è piuttosto bizzarro attribuire ai meccanismi elettorali la responsabilità del fatto che i partiti “medi “ non diventano “grandi”. Sono i voti dei cittadini e non le furbizie elettorali a determinare il peso dei partiti e dunque il loro potere.

Riteniamo inoltre non risolto, nella proposta in discussione, il cruciale nodo della possibilità per gli elettori di scegliere non solo il partito ma anche il candidato.

Infine, l’efficacia della nuova legge elettorale deve necessariamente seguire e non precedere l’approvazione delle  ipotizzate norme costituzionali che riguardano il nuovo assetto del Senato, le quali a loro volta richiedono con tutta evidenza di essere temporalmente e logicamente raccordate con la prevista riforma del Titolo V della Costituzione.

A questo specifico riguardo desidero anticipare che il nostro gruppo non potrà condividere un passo indietro verso una cultura statalista, ma considera il necessario riordino del Titolo V una occasione per riaffermare i principi di autonomia responsabile dei territori, che devono tradursi anche nella riprogettazione di un serio ed efficiente regionalismo.

Signor Presidente, voteremo compatti la fiducia. La accompagniamo con parole di chiarezza e di lealtà che abbiamo pronunciato non con lingua biforcuta o con tono paludato.

Le nostre preoccupazioni e le nostre sollecitazioni le saranno forse utili quando tra un po’ gli “osanna” di questi giorni si attenueranno e la strada del governo, del governo delle cose concrete, delle riforme serie e profonde, si farà stretta e ripida. Su quella strada noi c’eravamo prima del suo Governo: ci siamo stati con il Governo del Presidente Letta, auspice il Presidente Napolitano, e ci saremo anche in futuro.

Buon lavoro

Nota: il testo contiene anche una parte non letta in aula per motivi di contingentamento dei tempi