Una scelta importante attende l’Upt 3.0: federarsi con i nascenti Popolari per l’Italia, cercare spazio nel Pd, o puntare con decisione a un partito unico con il Patt? Una decisione dovrà essere presa al congresso del 6 aprile, se non altro per essere pronti alle elezioni europee del 25 maggio.
Lorenzo Dellai non ha dubbi: all’appuntamento europeo i popolari per l’Italia si presenteranno come un partito.
«Non abbiamo paura della soglia di sbarramento al 4%. Contestiamo la legge elettorale cui si sta lavorando a livello nazionale perché è sproporzionata: pone una soglia troppo bassa per il premio di maggioranza e una troppo alta per i partiti, e non sarà il nostro caso, che decideranno di non allearsi (l’8%, ndr). La contestiamo perché confonde la rappresentanza con la rappresentazione della politica. Cancellare dal Parlamento la pluralità della società italiana per sostituirla artificialmente con due partiti che, insieme, rischiano di non raggiungere il 50% dei voti espressi non ci pare una buona idea. Soprattutto se a quella parte del paese cancellata dal Parlamento si chiederanno, come è logico che sia, grandi riforme. Tutto ciò premesso, noi non siamo contrari a regole che evitino l’eccessiva frammentazione».
La legge elettorale per le europee non prevede alleanze, ma pone una soglia di sbarramento.
«Ci organizzeremo — assicura Dellai — per superarla, un partito che punta a rappresentare i popolari non può avere timori in questo senso».
L’alternativa potrebbe essere quella di inserirsi nelle liste del Pd, o di dare, in Trentino, indicazioni di voto per i democratici come l’Upt fece nel 2009 per l’Udc.
«Allora — osserva l’ex governatore — non esisteva un soggetto nazionale. Quanto al Pd, fanno parte dei socialisti europei».
Insomma, per Dellai la rotta è tracciata, ma i malumori nell’Upt non mancano. Il progetto dei Popolari appare fragile. A parte il nome, Popolari, il cui copyright è controllato da Castagnetti, che non intende cederlo (il nome ufficiale del gruppo è «Per l’Italia»), la nuova legge elettorale non offre spazi ai piccoli partiti, non a caso un maestro delle tecniche di sopravvivenza come Casini è già tornato a bussare ad Arcore.
Ed è sulla legge elettorale, non su altro, che l’altro giorno si è consumato l’«equivoco» che ha portato Renzi a far sapere dalle pagine di Repubblica di avere invitato un collega di Dellai (definito invece «galantuomo») ad avviarsi verso la porta dopo che quello si sarebbe rivolto al segretario pd dicendo «a noi cosa date?».
«Per cominciare — replica Dellai — nessuno è uscito da quella stanza, diversamente lo avrei fatto anch’io, visto che ero lì in qualità di capogruppo. Si è trattato di un equivoco. Il collega si riferiva a quali correttivi avrebbero applicato alla legge elettorale se noi avessimo ritirato la pregiudiziale di costituzionalità sulla legge, cosa che abbiamo poi comunque fatto. A forza di questuanti e baciatori di pantofola, forse Renzi non distingue chi chiede posti da chi chiede una legge elettorale migliore. A Renzi e al Pd dico una cosa: il ricompattarsi del fronte berlusconiano, che riporta drammaticamente al 1994, dovrebbe impensierirli. Se il Pd insisterà a volere fare sempre tutto da solo, metterà certo in difficoltà noi, ma si troverà a sua volta in grosse difficoltà, visto che il Pd non interpreta la pancia della maggioranza del paese».
Corriere del Trentino, 4 febbraio 2014