Nell’edizione del 31 dicembre ho potuto leggere una dissertazione di Raffaele Zancanella con la quale ha inteso commentare le mie scelte – ovviamente tutte sbagliate a suo giudizio – nel contesto romano.

Sono abbastanza abituato ai giudizi  dei soloni. E’ da quando ho iniziato la mia attività politica che li sento e – puntualmente – li smentisco.
In ogni caso, mi pare che la questione posta dal Zancanella sia sostanzialmente quella di come si difende a Roma la nostra Autonomia.
Ci sono due modi per farlo. Il primo e’ il modo seguito da sempre dalla SVP: fare accordi con il partito o la coalizione nazionale che offre più garanzie. Il secondo e’ quello che ha seguito da sempre il Trentino: essere presenti e portare le tesi dell’autonomia dentro i partiti nazionali ai quali si aderisce o con i quali si è federati.
I risultati migliori sono sempre venuti dall’intreccio fecondo di questi due modelli, essendo peraltro molto chiaro che a Bolzano non potrebbero mai – allo stato attuale delle cose – scegliere la nostra modalita’ ma anche Trento non potrebbe scegliere quella di Bolzano. Noi non abbiamo un partito di raccolta che rappresenti la parte prevalente della popolazione, anche perché, pur nella piena coscienza della nostra peculiarità, non siamo definibili ne’ ci sentiamo “minoranza linguistica nazionale”.
Il senso della ” territorialità ” che abbiamo sviluppato in Trentino dalla nascita della Margherita in poi non è una patetica scopiazzatura dell’esperienza della SVP, con la quale pure abbiamo lavorato e lavoreremo in assoluta fraternità.
E’ piuttosto il tentativo di partire dalla nostra realtà istituzionale autonoma per elaborare una idea della politica più capace di essere al passo con le sfide imposte dalla metamorfosi di questo nostro tempo. La sfida principale e’ quella di una politica che diventa sempre più liquida,  verticalizzata, mediatizzata e dunque lontana dagli ambiti di vita della gente. Ripartire dai territori, e da un territorio dotato di una sua forte personalità istituzionale in specifico, ci è sembrato e continua a sembrarci la via giusta per costruire nuova e buona politica.
Naturalmente il Trentino non è un’isola e lo sappiamo bene. Dunque si pone la questione del partito nazionale con il quale costruire un rapporto.
Nel febbraio scorso noi ci siamo collegati – anzi abbiamo concorso a far nascere quella esperienza – con Scelta Civica e con Monti.
Abbiamo chiarito mille volte il senso di quella decisione, che non rinnego affatto anche se recentemente, come noto, Scelta Civica si è divisa tra una componente più popolare e una più radical-liberale. Penso che in quel momento Monti rappresentava l’idea di una Italia che fa i conti con i suoi problemi e recupera fiducia e credibilità pur sul sentiero duro del risanamento finanziario. Non ho mai nascosto la criticità dei temi autonomistici per Monti e il suo staff: per questo ho subordinato la mia candidatura alla sottoscrizione pubblica di un documento preciso e impegnativo che, fino al momento della divisione, nessuno in Scelta Civica ha tradito.
Un’altra cosa non ho mai nascosto: che Scelta Civica fosse una esperienza in ogni caso transitoria. Infatti, la divisione tra le due anime nasce dal fatto che si è esaurita la fase del ” movimento ” e si è dovuto imboccare quella del soggetto politico vero e proprio.
Noi stiamo costruendo proprio questo: un partito nuovo, di matrice popolare, laicamente ispirato ai valori del cristianesimo, europeista, impegnato a testimoniare la valenza comunitaria e non individualistica della democrazia, difensore del principio della sussidiarietà e dunque attento a non mortificare ne’ i corpi intermedi dei quali scriveva De Rita qualche giorno fa ne’ le autonomie locali che sono – con buona pace di una campagna di stampa senza precedenti – l’ossatura democratica e civile del nostro Paese. Un partito che certo vuole riforme anche radicali ma  avverte che senza la fiducia e il consenso della gente ogni cambiamento pur necessario sarà percepito come minaccioso e si arenerà: la coesione sociale e civile non è il contrario, ma la premessa del riformismo.
Sappiamo che la strada e’ in salita, ma sappiamo anche che una crescente parte della popolazione incomincia a non identificarsi più nei paradigmi consumati della seconda repubblica.
Se l’UPT vorrà – come spero – potrà essere tra i soggetti che, pur mantenendo la propria indipendenza politica ed organizzativa in sede locale, danno vita a questo partito a base federativa .
Certo, come e’ sempre accaduto, quando si costruisce politica e non semplicemente si consuma quella prodotta da altri, occorre avere visione, coraggio e fiducia. Occorre pensare, ad esempio, a come si evolveranno le dinamiche anche elettorali in ragione dei cambiamenti in atto in tutte le aree politiche e non dare per scolpite nel marmo le cifre attuali dei sondaggi, che peraltro offrono l’idea di una buona metà dei cittadini assolutamente incerti sul proprio voto.
Un’ultima osservazione a riguardo di queste scelte. Non era più semplice aderire al PD o farci un accordo come ( stranamente, conoscendo la sua spiccata propensione di destra ) richiamato da Zancanella? Sarebbe la scelta giusta e naturale se accettassimo l’idea che in Italia entrerà in vigore il ” mono polarismo ”  con il PD  che incorpora tutte le culture politiche democratiche e riformiste. Ma noi sappiamo che così non è. La fine del ciclo berlusconiano ( peraltro vicina ma non imminente ) riaprirà la competizione democratica: la nostra speranza e’ che ciò consenta una nuova fase di vitalità delle culture politiche,  compresa quella del popolarismo, non in chiave nostalgica ma come bagaglio culturale per affrontare le incognite del tempo nuovo che attende l’Italia e l’Europa. Abbiamo visto il portato devastante di una politica che si dissocia dalla cultura e dai valori di riferimento: diventa pura immagine, pura gestione del potere e deraglia inesorabilmente verso il populismo.
La difesa a Roma della nostra Autonomia si colloca, dal mio punto di vista, in questo quadro di evoluzione politica.
In questi mesi di avvio della legislatura abbiamo peraltro lavorato bene assieme a tutta la delegazione parlamentare e alle Province, benché esse fossero in fase di rinnovo dei consigli.
La norma inserita nella Legge di Stabilità, per quanto non al cento per cento, va nella giusta direzione e ripercorre la filosofia dell’Accordo di Milano: responsabilità finanziaria in cambio di un percorso verso l’autonomia integrale.
Non ho dunque bisogno di alcun richiamo ( neppure dal Presidente della Provincia ) e non condivido affatto la solita trita e ritrita litania che Bolzano risolve i suoi problemi a Roma e noi no. E’ una bugia,  frutto di quel provincialismo lamentoso che noi trentini faremmo bene a buttare alle ortiche.
Non esiste una sola norma approvata o discussa che autorizzi qualcuno a dire così. Anzi, una c’era e riguardava la modifica del riparto dei tagli ai bilanci delle regioni a statuto speciale che avrebbe favorito Aosta e Bolzano ai danni di Trento e Trieste. La commissione bilancio della Camera l’aveva inopinatamente approvata su iniziativa  del collega aostano: e’ stata cancellata dopo qualche ora.
Ma non mi sfugge che la partita autonomistica a Roma come a Bruxelles e’ lunga, faticosa e tutta in salita, in questo tempo di centralismo e di freddezza valoriale. Ci attendono, in questa e nella prossima legislatura, discussioni importanti e insidiose, sia in Parlamento ( si pensi solo alla annunciata riforma del Titolo V della Cosituzione ) sia nella Commissione dei 12.  Le affronteremo ciascuno nel suo campo politico ma assieme con gioco di squadra.  Le affronteremo con fiducia sopratutto se a Trento e a Bolzano l’autonomia continuerà ad essere vissuta da tutti i cittadini come un grande sogno collettivo, come un progetto di comunità aperta e solidale. E anche come un progetto capace di aiutare i territori alpini ancora alla ricerca della loro strada di autogoverno, come il vicino territorio bellunese.
Postilla. Passare o meno alla storia, caro Zancanella, e’ questione assai lontana dalle mie preoccupazioni. Primo perché, forse diversamente da altri, mi è sempre stato insegnato a stare con i piedi per terra  e a non lasciarsi montare la testa dai ruoli di potere. Secondo perché, nonostante a 54 anni possa dire di aver avuto dalla vita politica molto più  di ciò  che da giovane potevo aspettarmi, ritengo sia un po’ prestino mettermi a tracciar bilanci…

 

pubblicato sull’edizione del 2 gennaio 2014 del Trentino